Recensione i ragazzi stanno bene regia di Lisa Cholodenko USA 2010
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Recensione i ragazzi stanno bene (2010)

Voto Visitatori:   6,76 / 10 (74 voti)6,76Grafico
Voto Recensore:   7,00 / 10  7,00
Miglior film commedia o musicaleMiglior attrice in un film commedia o musicale (Annette Bening)
VINCITORE DI 2 PREMI GOLDEN GLOBE:
Miglior film commedia o musicale, Miglior attrice in un film commedia o musicale (Annette Bening)
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locandina del film I RAGAZZI STANNO BENE

Immagine tratta dal film I RAGAZZI STANNO BENE

Immagine tratta dal film I RAGAZZI STANNO BENE

Immagine tratta dal film I RAGAZZI STANNO BENE

Immagine tratta dal film I RAGAZZI STANNO BENE

Immagine tratta dal film I RAGAZZI STANNO BENE
 

Gradevolmente astuto.

Nel suo quarto lungometraggio la regista e sceneggiatrice Lisa Cholodenko mette molto delle sue esperienze personali poiché anche lei ha avuto, tramite l'inseminazione artificiale, un figlio che cresce con la sua compagna.

La pellicola, presentata con successo al Sundance e premiata con il Teddy Award al 60mo Festival di Berlino, racconta la storia di Nic e Jules, una coppia lesbica di mezza età. Entrambe le donne hanno avuto un figlio dallo stesso donatore di sperma e hanno costruito nel tempo una famiglia apparentemente serena.
Joni è in procinto di andare all'università e, su insistente richiesta del fratello minore Laser, decide di rintracciare il padre biologico.
La figura maschile, assente nella vita dei ragazzi, li affascinerà e li porterà a volerla costantemente con loro. Anche le due madri, con le loro diffidenze, si avvicineranno a questo "intruso" destinato a destabilizzare il baricentro della famiglia.

La storia e il suo svolgimento sono banali e prevedibili, ma non si pensi che questo aspetto non fosse voluto.
Il centro ideologico del film è nella volontà di proporre come "assolutamente normale" la coppia lesbica e di presentarla come una coppia soggetta alle stesse problematiche di una famiglia ordinaria. E questo passa anche attraverso la messa in scena dei luoghi comuni.
Se mettessimo un uomo nel ruolo di Annette Bening, e dicessimo che la coppia non ha potuto avere figli, il film andrebbe avanti comunque identico. Sarebbe però un film visto centinaia di volte. L'unica differenza sta proprio nella formazione del gruppo familiare.
Ciò nonostante, la sceneggiatura riesce nell’intento di dipingere dei bei personaggi e intrattiene grazie ad un buon ritmo e ai dialoghi intelligenti.

Ma se l'idea di base è mostrare questa normalità, la via per farlo passa per la lenta, sottile ma quasi costante distruzione dell'universo maschile ridotto a mero distributore di spermatozoi, che avviene tramite personaggi e situazioni attentamente studiate.
L'idea che la sensibilità dell'uomo sia scarsa e che il genere maschile sia pura "fisicità" è assegnata al figlio e le due compagne sembrano arrivare a sperare nella sua omosessualità (quasi per dare un senso alla propria) e comunque sempre sminuendone il lato sensibile ("se tu fossi gay, lo capiresti"). E in ogni caso il "loro" figlio è sempre diverso dal padre. In tutto e per tutto. Per dire: i geni contano, ma fino a un certo punto. Poi la crescita è un'altra cosa.

Poi c'è il lato idiota e immaturo assegnato invece all'amico del figlio, personaggio a cui l'autrice dedica solo uno sguardo marginale in quanto rappresentante di un luogo comune fin troppo noto.
Stesso discorso per il giardiniere "sessista" che ride della bella donna che ha appena fatto sesso, ruolo che serve solo a evidenziare la differenza tra uomo a "maschio".
Se non fosse per Paul, l'uomo sarebbe solo una figura da immaginario pornografico per ribaltamento diretto della libido maschile che vede le lesbiche come lussuriosa immagine utile ai fini sessuali (le lesbiche usano quindi l'uomo "oggetto" così come l'uomo guarda i film lesbo per vedere donne "oggetto”).
D'altronde l'uomo è visto come "donatore di sperma" (viene anche chiamato così molto spesso dalle due protagoniste) e non come padre. I ruoli di padre e madre sono dettati dal tempo e non dalla genetica.

Ma per funzionare la storia ha bisogno di un antagonista, ed ecco che Paul deve acquisire qualità che agli occhi dei ragazzi le due madri non hanno.
L'infatuazione nei confronti del padre dura il tempo di un film perché proprio in quanto maschio Paul non può fare a meno di essere ciò che è ed è pertanto destinato ad essere isolato e messo da parte. Non è una famiglia per uomini questa.
E come la drammaturgia dei cliché insegna, è proprio nel momento di accettazione che l'inganno è smascherato. L'uomo perde quindi la possibilità di avere ciò che vuole per la sua caratteristica intrinseca di predatore.
E nel giro di un attimo l'allegra famigliola si ritrova più unita di prima. La coppia lesbica ha gli stessi problemi della coppia etero. È uguale in tutto e per tutto e alla fine può farcela. È questo il messaggio.

Eppure il personaggio più interessante, come spesso accade, è l'antagonista in cui l'autrice ripone il lato oscuro. È il personaggio più riuscito perché è il più umano.
Infatti, nella foga di rappresentare il mondo lesbico come funzionale le due protagoniste perdono d’interesse. Pur risultando due personaggi interessanti, alla fine non hanno lo spessore di Paul perché per loro è tutto chiaro; sanno esattamente cosa sono e cosa vogliono mentre lui, invece, ha una crescita e nutre dubbi, passioni e anche errori. Perché l'uomo (in senso di umanità e non di mascolinità) è fatto di questo.
Questa costruzione urta però contro la struttura stessa del film. Dovendo Paul racchiudere in se troppi aspetti del lato maschile, questi alla fine gli hanno conferito una multidimensionalità che gli altri personaggi non hanno e verrebbe da dire che tale risultato non fosse intenzionale per il finale del film, in cui Paul è liquidato troppo velocemente (quasi fosse un personaggio secondario) per l'importanza che invece ricopre nel tessuto connettivo del film stesso.
Non è da sottovalutare l’ipotesi che il personaggio di Paul abbia acquisito valore sul set grazie alla bella interpretazione di Mark Ruffalo, che nella sua fisicità esprime molto bene l'evoluzione di un cinquantenne che scopre la maturità in età tardiva.

Molto riuscite anche le interpretazioni di Julianne Moore e Annette Bening (vincitrice del Golden globe come miglior attrice in un film commedia), corpi scolpiti in età adulta da una quotidianità diversamente ripetitiva.

L’analisi ellittica torna quindi al suo punto di partenza: è una commedia gradevolmente astuta, da vedere però con sguardo lucido o, meglio ancora, cinico per non cadere nella facile retorica di cui questo film si compiace.

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Recensione a cura di fidelio.78 - aggiornata al 24/03/2011 15.23.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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