Recensione monsieur verdoux regia di Charles Chaplin USA 1947
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Recensione monsieur verdoux (1947)

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locandina del film MONSIEUR VERDOUX

Immagine tratta dal film MONSIEUR VERDOUX

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Immagine tratta dal film MONSIEUR VERDOUX

Immagine tratta dal film MONSIEUR VERDOUX
 

Dopo un lungo silenzio, Charles Chaplin torna sugli schermi cambiato. Se ne "Il grande dittatore" il personaggio che lo aveva reso riconoscibile prima, noto poi, celeberrimo e immortale in seguito, continua ad esistere sia pur trasfigurato e parlante, ora questo personaggio, il buffo Charlot dal baffo comico ma un po' inquietante, è scomparso anche se nella mimica, negli atteggiamento e nello sguardo biricchino lo spettatore più attento lo riconosce.
Ora Chaplin indossa i panni di un gentiluomo di mezz'età dal capello brizzolato e impomatato e il baffetto (baffi anche qui ma più alla moda) da conquistatore, porta un fiore all'occhiello che di tanto in tanto annusa con voluttà ed è garbato ma cinico. Un amorale insospettabile emulo di Landru e Barbablu ma non animato come questi due personaggi da un demone che spinge inesorabilmente a uccidere, bensì guidato dalla necessità di sopravvivere e di far sopravvivere gli esseri che ama.

Verdoux vive tra le due guerre, periodo quanto mai compromesso, epoca che non dà spazio alla poesia nè alla bellezza della vita, ma che è invece portavoce di tutte le nefandezze di cui un essere umano può essere capace.
Dopo essere stato licenziato, con una moglie malata ed un figlio piccolo a carico, Verdoux non esita a sposare donne ricche e anziane e a ucciderle sviluppando una doppia crudele personalità da consapevole Dott. Jekyll e Mr. Hyde.
Impossibile affidare questo ruolo al tenero vagabondo Charlot; la guerra e tutti gli avvenimenti da essa scaturiti lo hanno ucciso. Impossibile poi mostrare ancora Charlot quando un uomo simile a lui (se non altro nel buffo baffetto unico) ha seminato ovunque dolore e morte.
Verdoux è una maschera impassibile, simbolo di quella società borghese pronta a scavalcare qualsiasi cosa per il proprio tornaconto fosse anche almeno alla base buono (la necessità di mantenere una famiglia dopo la perdita del proprio lavoro).

Il film è quindi l'occasione per criticare l'atteggiamento ipocrita dei borghesi, capaci di azioni orribili e nel contempo abili dissimulatori, ma è anche e soprattutto l'occasione per accusare tutta la società del tempo, alla deriva e persa, senza più valori né poesia.
Chaplin condanna l'amoralità della classe borghese e la descriva con occhio distaccato e pertanto ancora più spietato, perché dietro la sottile ironia si nasconde la sua acuta denuncia. La fine di Verdoux, consegnatosi da solo alla giustizia, è un ulteriore accusa verso il mondo: un morto fa l'assassino, milioni un eroe. Il numero santifica: Frase lapidaria e drammatica.

Per la prima volta nella sua cinematografia la parol, che era già presente nel precedente "Il grande dittatore" pur se ancora relegata ad un ruolo marginale, diventa quindi grande protagonista: Verdoux sulla ghigliottina fa un discorso, lancia accuse, parla lungamente. Chaplin si è finalmente convinto che il sonoro ha una sua utilità nel mezzo cinematografico e lo usa da par suo. Fino a pochi anni prima questa conversione alla necessità della parola pareva quasi impossibile per Chaplin, ma dopo la guerra è necessario dire per far capire il proprio pensiero dopo tanto disorientamento, parlare per esprimere il proprio scoramento e forse per tentare di salvare chi ancora può farlo.

Commedia amara questo "Monsieur Verdoux", a metà tra il dramma e il thriller, storia inusuale per l'artista inglese e che porterà l'attore e regista ad avere guai con la puritana America.
Anche se il film non passa quasi mai sul circuito televisivo è sicuramente da vedere, un tassello imperdibile per chi apprezza il grande Chaplin ed un'occasione per conoscerlo per tutti gli altri.

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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 24/04/2008

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