Recensione ogni maledetta domenica regia di Oliver Stone USA 1999
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Recensione ogni maledetta domenica (1999)

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locandina del film OGNI MALEDETTA DOMENICA

Immagine tratta dal film OGNI MALEDETTA DOMENICA

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"Ogni maledetta domenica o si vince o si perde" sa di luogo comune ed è un luogo comune che puzza di birra e sudore, che fa girare soldi ed anche teste a milioni di esseri umani: il film datato 1999 di Oliver Stone è retorico, rumoroso e formalmente corretto.
Racconta la storia della squadra di football Miami Sharks allenata dallo stanco ma ancora capace di mordere Tony D'amato (Al Pacino) e di proprietà dell'ambiziosa ed affascinante Christina Pagniacci (Cameron Diaz).

Componenti che rendono il gioco del football qualcosa che trascende dallo sport o dalla sana competizione sono il conflitto generazionale, l'ossessione di volere essere sempre al passo coi tempi, l'onnipresenza dei media, il "dio" denaro, che oltre a far perdere la testa spesso è in grado di far perdere la salute.
L'allenatore Tony D'Amato, appartenente alla storica scuola in cui i campioni erano veri uomini fuori e dentro al campo, sostiene che il degrado morale ed etico degli atleti contemporanei sia causato dalla cara vecchia televisione, questa sarebbe la causa per cui gli atleti non giocano più per la squadra ma per il proprio tornaconto ed anche del fatto che, sebbene fisicamente più preparati questi giovani nerboruti siano molto più fragili dei loro predecessori.

In questa visione oscura e quasi demoniaca del mezzo televisivo ritorna un motivo caro ad Oliver Stone; egli infatti sferrò un violento attacco ai media già cinque anni prima con il film "Assassini nati" scritto da Quentin Tarantino: lì si parlava di omicidio, violenza e serial killer, qui si parla di egoismo, avidità e corruzione.
Altra firma del regista si può riscontrare nel suo descrivere i Miami Sharks come una truppa dell'esercito, i cui componenti si devono difendere (o dovrebbero difendersi) vicendevolmente, si devono proteggere e devono giocare per un ideale più alto di quello propriamente personale.
L'idea di atleti trasfigurati in "natural born killer" è sottolineata da alcune significative inquadrature e da non troppo eleganti parallelismi, come l'equiparazione tra i gladiatori che gareggiavano sulle bighe nel kolossal "Ben Hur" ed i viziati e dopati Squali di Miami. Tutto coadiuvato dall'ottima fotografia di Salvatore Totino oltre che da battute che rasentano la teatralità; questo lato così pacchiano è però il vero colore del film, la vera anima che dal rap di Willi Beaman (Jamie Foxx) al mood ispirato da Coltrane di Tony rende questo film un vero show godibile, mai noioso in oltre due ore di durata.

Ottima l'interpretazione di Al Pacino, che sembra migliorare con l'età e riuscire ad adattarsi a qualsivoglia ruolo; brava anche Cameron Diaz così come il cinico medico dello spogliatoio James Woods. In generale tutto il cast è più che convincente a parte Matthew Modine che, con la sua aria allampanata, a stento riesce a persuadere il pubblico della volitiva ricerca del giusto di cui il suo personaggio si fa promotore.

Il monologo recitato da Al Pacino poco prima di scendere in campo per affrontare l'ultima partita è piuttosto banale ma comunque non privo di fascino e verità, soprattutto nell'affermare che la vita è come una partita, che è questione di fare la scelta giusta nel momento giusto e come nel football è questione di tempismo e di riuscire ad avanzare un centimetro per volta.

I film sul football in America sono parecchi, ed il motivo è che in America il football è simile a ciò che il calcio era in Italia fino a qualche anno fa: una fede, un credo che divide gli anni in stagioni e che lambisce anche esperienze diametralmente opposte, addirittura sfiorando la letteratura: ne è un esempio la squadra di Baltimora che deve il suo nome alla nota poesia "Raven" di Edgar Allan Poe.
Spesso questi film cercano di affrontare il tema in modo diverso: ci sono esempi riusciti come "The Program" di David S. Ward, altri decisamente meno, come "Varsity Blues" di Brian Robbins, altri ancora piuttosto divertenti come "L'altra sporca ultima meta" di Peter Segal, remake de "Quella sporca ultima meta" di Robert Aldrich, datato 1974. Alcuni sono anche più cafoni di "Ogni maledetta domenica"; a voi il compito di scovarli...

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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 20/08/2007

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