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INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO regia di Steven Spielberg

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amterme63     6 / 10  03/04/2010 12:38:33 » Rispondi
Dal punto di vista visivo, tecnico e degli effetti speciali il film è certamente di qualità. Si fa guardare e ammirare soprattutto nelle scene panoramiche, nei campi lunghi. In alcune scene ha una buona suspence anche se non c'è una perfetta progressione durante tutto l'arco del film.
C'è qualcosa che però a me ha dato discretamente fastidio ed è questo voler a tutti i costi congegnare la storia con un preciso svolgimento che sa forse troppo di prefissato e precostituito. E' tutto troppo prevedibile, troppo coincidente. E' vero che è una storia fantastica, che tutto quanto ha l'aspetto di una fiaba, questo però non può giustificare l'astrazione, il distacco pressocché completo dal reale, il rifugio in una perfezione di aspetto quasi mistico-religioso. Si basa tutto su di una illusione fin troppo illusoria. In qualche maniera mi sono sentito un po' preso in giro.
Dopo che con Duel e con lo Squalo Spielberg aveva rappresentato il male assoluto presentandocelo come qualcosa di quasi invisibile e sconosciuto, con "Incontri ravvicinati del terzo tipo" rovescia i termini e ci presenta invece il bene assoluto, pure questo misterioso (non ne conosciamo l'origine e il fine) e separato dalla barriera dell'incomprensione. La controparte viene anche qui disvelata lentamente e parzialmente.
Fino allo Squalo il gioco degli effetti, le inquadrature suggestive, gli interventi dell'entità estranea, servivano a misurare e a mettere alla prova la tenuta psicologica dei singoli e della collettività. Erano in altre parole un modo per rappresentare e conoscere meglio il reale.
Con IRDTT invece il fastastico e lo spettacolare prendono il sopravvento e il misterioso e lo sconosciuto diventano mezzi per incantare e "imbonire" lo spettatore con una specie di fiaba mistica. Certo non manca qualche punta ironica, che colpisce più che altro il modello di famiglia ipertollerante e accondiscendente con i figli, diffusasi dopo il 1968. Si fa strada poi la sensazione di "prigionia" che dà il modello di vita convenzionale (casa standard, giardino verde, piante curate, bambini viziati e capricciosi) e che spinge a rompere con il mondo del quotidiano, per sognare l'avventura, la fuga in un altro mondo. Sulla base di questa voglia di fuga dal reale e dall'ordinario nascerà la serie filmica di Indiana Jones.
Per il resto il ritmo del film è fin troppo lento, la suspence non sempre regge, gli snodi narrativi poi sono fin troppo prevedibili. A tratti mi ha infastidito lo svolgersi quasi "come dovuto" dei fatti e la grande facilità con cui vengono trovate le soluzioni, come pure la pressocché totale assenza di intoppi o imperfezioni.
A parte il personaggio di Roy, ben recitato, gli altri personaggi sono piuttosto evanescenti, compresa la parte recitata da Truffault. L'idea di stabilire dei contatti con il mondo extraterreste basandosi sul metodo dei suoni è molto ingegnosa, peccato che ne esca fuori una musica decisamente banale e fin troppo orecchiabile. Banali e semplici sono comunque gli imperativi di tutto il film, che non mira a disturbare, a far riflettere o a mettere dubbi; deve solo piacere, punto e basta. Diciamo che si vuole usare una facile e curata tecnica cinematrografica per ottenere lo scopo principale, cioè avere il miglior riscontro ai botteghini