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IL TRONO DI SANGUE regia di Akira Kurosawa

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amterme63     9 / 10  03/04/2010 16:22:47 » Rispondi
Una delle caratteristiche del cinema di Kurosawa è l'eclettismo; cioè la voglia di contaminare il cinema con altri generi d'arte come la letteratura e il teatro (ma anche la pittura – vedi "Sogni").
Stavolta il grande regista ha deciso di cimentarsi addirittura con il Macbeth di Shakespeare. Come con l'Idiota di Dostojevskij, anche stavolta ha cercato di tradurre lo spirito dell'opera cambiandone ambientazione e forma. Siamo infatti nel Giappone del XVI secolo, periodo buio di lotte intestine e torbidi politici. Il voler rappresentare lo spirito e non la forma è il segreto della perfetta riuscita delle trasposizioni di grandi opere letterarie fatta da Kurosawa. Questo ancora una volta per dimostrare che i grandi capolavori dell'arte non hanno tempo e non hanno luogo, ma sono appunto universali.
Il colpo di genio che ha Kurosawa in questo tipo di film è quello di creare un'ambientazione e un'atmosfera perfetta, veramente suggestiva. Fin dai primi fotogrammi ci troviamo in una landa nuda e desolata spazzata dal vento e dalle nubi (sono le scure pendici vulcaniche del monte Fuji). All'improvviso fra le nebbie appare un castello come un'apparizione spettrale. Gli interni delle stanze di questo castello sono massicci ma allo stesso tempo nudi e un po' tetri. I protagonisti del film sono tutti dei samurai, dei guerrieri letteralmente soffocati e rinchiusi nelle loro armature. Chi non è samurai "appartiene" comunque a qualcuno e ne porta dietro le insegne. A completare l'atmofera scarna, dura e opprimente c'è la musica tradizionale giapponese, secca, cupa, fatta con soli tre strumenti.
Anche la recitazione degli attori risente dell'atmosfera ieratica, astratta e simbolica che si vuole imprimere all'opera. In questo caso Kurosawa trova uno splendido parallelo nel treatro No, una forma tradizionale antica giapponese di teatro che prevede proprio una recitazione lenta, solenne, fatta di espressioni e segni messi in assoluta evidenza. Non c'è spettacolo o azione ma espressione pura dei concetti.
Mifune come al solito imprime al suo personaggio una forte caratterizzazione. Bastano i suoi occhi, il ghigno, un paio di primi piani ed ecco che viene creato un personaggio indimenticabile. Lady Macbeth invece è volutamente astratta, impersonale, simbolica. E' la voce della parte scura e opportunista dell'animo umano, quella che non conosce riguardi o ostacoli per arrivare dove desidera.
Del resto tutto il film si gioca su significati assoluti. Una parte importantissima ce l'ha lo Spirito del Bosco, qualcosa che noi Occidentali chiameremmo Destino, il quale rivela a modo suo quello che dovrà succedere (o che forse si desidera succeda).
Che effetto fa sulla propria vita conoscerne il futuro? Va a finire che si resta così suggestionati che facciamo esattamente quello che dovrà succedere, anche se magari lo vorremmo evitare.
Comunque di scene suggestive e affascinanti ce sono veramente tante in questo film. A tratti si rimane come ammaliati. Peccato solo che manchi quasi completamente l'aspetto sociale e umano che ha caratterizzato tutti i film precedenti di Kurosawa. E' tutto così stilizzato e purificato che dà l'idea di qualcosa di gelido e petrificato. Effettivamente manca il pathos della vita normale, quotidiana. E' certamente una scelta voluta ma fa un po' effetto in un film di un regista così passionale come Kurosawa.
A parte ciò, questo film rappresenta l'ennesima grande commistione cosmopolita di contenuto "occidentale" e forma "orientale", un'altra perla di Kurosowa.