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SOURCE CODE regia di Duncan Jones

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Bartebly     8 / 10  29/04/2011 23:14:16 » Rispondi
Un gran bel film! Solo che alla fine mi sono balzati in testa una serie di considerazioni prettamente accademiche. Polluzioni accademiche, per dire. Il capitano Colter Stevens non può neanche essere come Narciso, quando si guarda allo specchio il volto dall'altra parte non è il suo ma quello di Sean Fentress, l'insegnante. Eppure quella sua deviante forma gemellare diviene il suo "me" più salvifico. Ma se, in fin dei conti adottiamo - con un super salto acrobatico assurdo - il Narciso di Pausania (Narciso innamorato di sua sorella gemella, sorella che poi muore e che Narciso ricercherà specchiandosi nella fontana), abbiamo in qualche modo un nesso: un palliativo che finisce per avere una funzione consolatrice. Una consolazione che diventa riscatto. Colter-Sean è in sostanza una immagine, un'immagine che - paradossalmente - ha più possibilità d'azione della realtà, di quel primo livello di realtà in cui il corpo del capitano si trova. Facendo un'altra capriola, credo necessaria per riassumere la complessità dell'ottica di Mr. Jones: l'immagine di Colter e il soggetto-oggetto Colter. Questo è uno di quei casi in cui l'oggetto si adegua all'immagine.
How, my God! L'Agostino dei Soliloquia (?) scrive che la rassomiglianza è madre della falsità, definendo ulteriormente che, come nel caso dello specchiarsi, si ha una somiglianza con peggioramento. Vale a dire che l'immagine non potrà mai essere l'oggetto raffigurato; ne divergerà sempre, inevitabilmente. L'immagine riflessa è un' imitazione in sostanza dell'oggetto che si riflette. Immagine con peggioramento, falsità. La realtà "creata" in cui si ritrova il capitano Colter è quindi, di per sé, una somiglianza con peggioramento (direbbe quel burlone di Agostino). E invece, l'esperienza vissuta da Colter ribalta completamente questa credenza agostiniana e non solo. La falsità diviene possibilità di miglioramento. L'immagine da mero surrogato diviene soggetto-oggetto agente.
Il capitano C. lotta continuamente contro quella che Derrida chiama différance, un fondamento vittima sempre di molteplici piani e quindi sempre defondato, un fondo senza fondo. Questo continuo rincorrere il tempo, il tornare indietro per anticiparlo, è ciò che tuttavia va a "creare" il capitano C. La perdita di fondamento porta in superficie la ri-nascita del capitano C. Il capitano C., perennemente in conflitto col mondo o coi mondi, in conflitto con se stesso e con l'epoché fenomenologica (con la sospensione dell'opinione sull'esistenza del mondo) che è costretto suo malgrado ad attuare ma che, di rimando, lo riporta alla sua coscienza, al suo pensare di sé; al suo vissuto intenzionale, alla sua percezione immanente. Per prima cosa il capitano C. deve riconoscere il primato della sua coscienza sul resto. Ma c'è di buono che in tutto 'sto casino, il capitano C. ha quel non poco invidiabile **** di trovarsi ogni volta di fronte Michelle Monaghan. Heh, sì. Se questo non è ****!
Per concludere questa sbobba assurda (parlo di ciò che ho scritto or ora), citerei ancora una volta l'Agostino dei Soliloquia, e credo che questa frase riassuma uno dei temi cardini del film: "Non ti pare che, la tua immagine allo specchio, è come se volesse essere te stesso?"
E comunque i Jefferson Airplane spaccano ancora.

One and only, canzone di Chesney Hawkes compare anche in Moon. E' una sorta di impronta del regista. Il suo "momento" Alfred Hitchcock.