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EYES WIDE SHUT regia di Stanley Kubrick

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Woodman     5½ / 10  08/09/2014 20:44:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non appena pronunciata la celeberrima "Fuck" nella scena finale, quattro quinti di globo terrestre sono andati in visibilio: il maestro concludeva così il suo indimenticabile percorso cinematografico.
Una degna conclusione? Un bel calcetto in **** ai moralismi?

Io ci ho visto solo la definitiva pennellata per un quadro fortemente snob. A mio parere patetica.

Il capolavoro di Schniztler trova in Kubrick (interessato da tempo a metterci le mani) una rilettura aggiornata al periodo corrente non priva di intelligenza formale.

Ciò detto,
quel che più di tutto infastidisce chi scrive è la megalomania -appurata, d'accordo, ma non per questo passabile/tollerabile- del celeberrimo regista, che razionalizza come di consueto le fondamenta e vi ci monta sopra un teatro del fasullo meravigliosamente studiato nell'estetica.
Punto di maggiore forza dell'opera di Kubrick, la sua estetica ha saputo abbozzare una delle più palpabili, compiute e sconvolgenti materializzazioni della paura, leitmotiv dei suoi maestosi film, da Lolita in poi perlomeno. Forse il lato più immane e profondamente autentico del mitizzato regista.
Accettabile, d'accordo, ma si noti bene che di materia si parla. Quasi sempre, alla fine, con Kubrick, riusciamo a vedere, ed è per questo che è così venerato: l'immagine crea il Cinema, ebbene Kubrick ci ha montato su un lavoro rivoluzionario, che qui pare frainteso perfino da sè stesso.
Un'inquietudine tutta visiva e tutta razionale, mascherata con la consueta, spettacolosa abilità registica e spacciata per astratta.
La mascherazione di Kubrick trova qui emblemi a cascate, tanto pane in cui affondare i denti, tanto contenuto da rivisitare con la sua ontologia noiosa e frequentabile, ma al tempo stesso l'intera baracca si sfalda, si indebolisce, è fievole, appiattita, parzialmente disossata.
Un adattamento su carta prolisso, farraginoso, procedente per ridondanza -visiva, verbale, tematica-, che sfregia -con stupefacente decoro, innegabile- la freudiana opera sottile, morbida e sconvolgente di Schnitzler.
La fedeltà è mirabile nella struttura, eccessiva nel contenuto, protendendo al mostrabile e risolvendo il tutto in un abbagliante affresco sulla vista, carente di buona parte della filosofia e del principio d'ambiguità del romanzo, proprio perchè dimostrativo, determinista, oggettivante, troppo dipendente da un'estetica che, anche per coerenza, richiede accumulo piuttosto che sottrazione, invero tecnica appropriata in vista di un simile adattamento.
La magia del romanzo svanisce quasi del tutto, rintracciabile in certe inclinazioni vocali, qualche doveroso, ottimo passaggio che ben mescola gli ingredienti, la mimica facciale talvolta efficace talvolta ridicola del volutamente bolso protagonista.

Rimane un'opera trainata da un'eccentricità d'andazzo, e, come in giro si sottolinea giustamente, beatificata ante tempo, forte della solita grandiosità figurativa del Maestro. Un'opera fallimentare, perlopiù illustrativa.
La magniloquenza tipica di Kubrick non è smentita e riesce a stendere sulla pellicola un velo perfettamente (fin troppo) spiegato, da capogiro estatico per gli spettatori medi, così come per i fan, accontentati da una messa in scena grandiosa (nonostante un montaggio non all'altezza, eppure approvato dal terminale Kubrick), che si prefigura una molteplice gamma di letture, ma è in fin dei conti un giro in giostra fatto e rifatto, sfiancante e pure un po' nauseabondo, anche per chi ne è dipendente.

Resto del parere che "Doppio sogno" avrebbe trovato un pur sempre innecessario omaggio in mano a qualcun altro.
L'addio di Kubrick è in linea col suo Cinema tendente alla sublimazione del visivo, ma non riesce ad essere gioia proliferante di narrazione per immagini, tuttalpiù monotona ed esangue sagra di snobismi impropugnabili, fraintesi microritratti di disagi fasulli di freschi borghesucci poco interessanti -inesorabilmente terreni e fisici, appiattiti dall'aggiornamento temporale-, ristagno scenografico che non scotta più sulla lingua nè infreddolisce la pancia, autoreferenziale odissea grigio-notturna che ammette troppe cose invece che sottintenderle o nasconderle, fallita esperienza plurisensoriale, banalmente cognitiva, percorribile, riarredabile, chiarificabile.
Un testamento, una brodaglia.

Adios, Stanlio.