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TROY regia di Wolfgang Petersen

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Boromir     4½ / 10  31/03/2024 13:16:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Peggiora di visione in visione. Va dato atto al buon Wolfgang Petersen di non aver voluto strafare con i virtuosismi registici (affidandosi a una buona resa dell'abbagliante fotografia di Roger Pratt), ma complessivamente non gli è riuscito di dotare la pellicola di quell'anima che dovrebbe contraddistinguere ogni buon "film epico".
Le licenze creative rispetto al verso omerico sarebbero tutto sommato perdonabili, con uno script degno di questo nome. Invece il sopravvalutato Benioff (ormai è chiaro che La 25° ora sia stato azzeccato per qualche scherzo del destino, a.k.a probabili interventi diretti di Spike Lee) insegue la coralità ma fa soffrire l'intero sistema di personaggi di scarsa analiticità, dissemina il film di battute cinematograficamente logore quando non fastidiose (vedi le effusioni tra Paride ed Elena), non trova la giusta quadra tra senso di un'epica decostruita e meditazione sull'eterno ciclo della violenza. Insomma, un vero spreco considerato quanto è azzeccato e credibile il cast generale.
Il taglio registico convulso e poco d'ampio respiro infuso alle scene di guerra (colonna portante del film) non riesce a supportare le discrete coreografie: francamente non bastano le fiumane di sangue e arti mozzati presenti nella director's cut per sollevare gli infiniti duelli dall'anonimato.
Scenograficamente parlando, Troy è la morte del concetto di kolossal. I set palesemente di cartapesta sembrano raccattati dai fondi di magazzino di qualche peplum anni 60 di serie Z, tant'è che la maggior parte delle sequenze più "sfarzose" risultano invece sciatte e spoglie (quanto si rimpiange lo stile pompeur di un Oliver Stone!).
James Horner in appena due settimane si ricicla spunti musicali provenienti da Il nemico alle porte, Titanic e Braveheart e non riesce a comporre un accompagnamento originale convincente (e con l'aggiunta delle voci femminili liricheggianti, francamente, je piacerebbe tenere il passo con lo Zimmer di Gladiator).
Certo, non è brutto come il King Arthur di Fuqua, ma dopo vent'anni (anche con l'appiattimento generale in cui versa il blockbuster hollywoodiano odierno) è lungi dall'essere epocale come le gesta che vuole narrare. E per favore, lasciate Ridley Scott lì dove sta: nella cinquina di Oscar al Miglior Film più meritati da vent'anni a questa parte.