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CHARLOT APPRENDISTA regia di Charles Chaplin

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amterme63     8 / 10  23/09/2008 23:28:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nel giugno 1915, esce un’altra grande opera di Chaplin: il cortometraggio Work (Charlot apprendista). Insieme a Tempi moderni è una delle punte più ardite del comico come denuncia sociale. Ci sono immagini molto forti che, anche se comiche, riescono a fare impressione pure adesso.
Il pezzo si apre con l’interno di una ricca casa borghese, dove marito e moglie lo sono solo di facciata, visto che litigano e non si possono sopportare. Stanno attendendo gli operai per tappezzare la casa. Segue una scena assurda quanto eloquente: in mezzo al traffico stradale, un carretto stracolmo di ogni genere di arnese lavorativo viene tirato a fatica dal vagabondo, battuto dal suo padrone che siede sul carro. A stento riesce ad evitare di essere travolto da un tram.
La scena seguente è una delle poche di Chaplin che fa uso di espedienti cinematografici. La cinepresa riprende inclinata di 45° e l’immagine risultante riproduce una ripida salita. In campo lungo si staglia contro il cielo il carretto stracolmo e il padrone che batte con il bastone il vagabondo arrancante. Un’immagine impressionante che farà scuola nel cinema sovietico 10 anni dopo. Come se non bastasse, in cima alla salita il vagabondo scivola su di una buccia di banana e ridiscende all’inverso tutta la china, fino a fermarsi sulle rotaie mentre sta per arrivare un tram. Per miracolo scampa anche questa volta e di nuovo arrancando sale, battuto dal padrone. Finalmente in cima, si ferma a strizzare il fazzoletto intriso di sudore, mentre il padrone invita un’altra persona a salire sul carro. Riparte fingendo il movimento degli animali ma poi finisce per cadere in un tombino aperto. Una didascalia riporta il commento del padrone: “Si è nascosto lì sotto il fannullone. Quando esce lo farò lavorare il doppio”.
In queste scene Chaplin voleva forse solo realizzare un effetto comico, ma il quadro simbolico che ha creato finisce per rappresentare (suo malgrado?) un’eloquente denuncia dello sfruttamento e della disumanizzazione alla base di tanti “lavori”.

Non è però finita qui. Arrivati alla ricca casa, la signora illustra al distratto vagabondo gli innumerevoli lavori che c’è da fare, poi lo introduce nel salotto e non fidandosi chiude i suoi soprammobili di valore nella cassaforte. Per tutta risposta, il vagabondo prende il suo orologio e pochi spiccioli, se li mette in tasca e la chiude con una spilla. Il messaggio è chiaro: io sono povero ma ho la mia dignità; sono un lavoratore, non un ladro. Il resto del pezzo è tutta una serie di gag che vedono il vagabondo farla pagare al suo padrone, cercare di attaccare bottone con la cameriera (Edna Purviance) e combinare innumerevoli pasticci. Alla fine succede un patatrac generale e tutta la casa va in macerie, da cui emerge il ghigno del vagabondo, quasi a dire: a me non interessa, gli sta proprio bene a questa gente. Soddisfazione effimera perché gli cade un mattone in testa.

La polemica sociale di questo cortometraggio passò quasi inosservata, mentre fece scalpore una scena in cui il vagabondo occhieggia una statuetta di donna nuda, ci mette un piccolo paralume e la fa diventare una ballerina hawaiana. La polemica non finì qui. Guarda caso il cortometraggio successivo si chiamava A Woman (La signorina Charlot) e comprendeva uno strabiliante travestimento femminile di Chaplin.