kafka62 7½ / 10 18/02/2018 17:47:41 » Rispondi "La promessa dell'assassino" può essere a buon diritto considerato il film gemello di "A history of violence": in entrambe le pellicole il protagonista sembra per buona parte della storia il contrario di quello che in realtà è, e inoltre l'attore che lo impersona è sempre lo stesso, Viggo Mortensen, la cui espressione di educata e glaciale imperturbabilità ben si adatta a rivestire personaggi dalla natura sfuggente e ambigua. Qui Mortensen è Nikolai, un efficiente killer della mafia russa a Londra
(in realtà un agente della polizia infiltrato nella potente famiglia del boss Semyon)
, che, messo di fronte allo scabroso caso di una prostituta minorenne sua connazionale morta in ospedale nel dare alla luce una bimba e del diario compromettente ritrovatole addosso, mostra impercettibili segni di umanità, complice la generosa figura dell'ostetrica Anna, la quale mette in moto la vicenda portando improvvidamente proprio a Semyon, proprietario di un elegante ristorante transiberiano, il diario per farselo tradurre. Lontanissimo dalle atmosfere di "The departed", l'altro film di "talpe" visto recentemente, "La promessa dell'assassino" raggela qualsiasi possibilità di suspense con uno sguardo quasi antropologico su un ambiente antitetico, in quanto a modalità di rappresentazione, a quello della malavita made in Hollywood, salvo poi accendersi all'improvviso con sussulti di inusitata e raccapricciante violenza (come nella giustamente celebre scena del bagno turco, in cui Nikolai, nudo e tatuatissimo, lotta allo spasimo con due sicari ceceni venuti per ucciderlo), la qual cosa riporta in un certo qual modo al gusto cronenberghiano per il corpo-macchina e per la carne mutilata e putrefatta. L'unico elemento che appare un po' incongruo per Cronenberg è quello melodrammatico della neonata
che alla fine del film, dopo essere stata a un passo dalla morte, viene, nel più classico degli happy endings, adottata dalla protagonista (e il boss autore dello stupro della madre arrestato).
Anche questo però non deve sorprendere più di tanto, in quanto è la manifestazione della lenta e progressiva normalizzazione del cinema del regista canadese, il quale nonostante (o forse – detto da chi non ha mai amato troppo "Videodrome" ed "Existenz" – grazie a) questa involuzione rimane estremamente suggestivo e stimolante.