kowalsky 8½ / 10 24/12/2007 00:52:16 » Rispondi Con uno script che rimanda vagamente (involontariamente?) al caso Litvinengo, e un fortissimo senso di appartenenza che mi ha ricordato moltissimo il Munich di Spielberg (sequenze efferate comprese, ma con un'ottica molto Cronenberghiana), "Eastern promises" sembra focalizzarsi su una serie di schemi centrali (il perno del film) attraverso cui si snodano labirinti che solo la mano attenta del regista riesce a tramutare in un gioco di complesso realismo formale... il film è dunque l'ennesima riprova della capacità di un grande autore di sorprendere attraverso le modalità di una sorta di thriller dalle reminescenze più disparate (Mann, Ferrara e Lynch tanto per fare dei nomi). Confesso di aver dubitato in certi spunti della buona fede di Cronenberg: va da sè che il film è e resta splendido, tuttavia a una contrapposizione così fortemente antitetica ai dogmi del cinema classico prevale talvolta una sorta di rifugio verso l'epicità ridondante del melodramma, genere inedito nella carriera del regista prima di "History of violence" e da cui attinge fortunatamente con una personalissima capacità di controllare una certa enfatizzazione emotiva (cosa che forse non gli era riuscita altrettanto bene nel suo pur ottimo film precedente).
Il respiro del film è comunque enorme, quasi un mosaico di famiglia che passa da Dostoevskji ("Karamazov") alle moderne riletture bibliche di "Scanners" e al dualismo imperfetto di "Inseparabili".
Il corpo resta (ancora) una macchina al servizio della violenza umana ("Sono morto a 15 anni. Oggi vivo sempre in uno stato di perenne distacco") , una fonte inespugnabile di appartenenza (non solo razziale), fino all'atto della carne che diventa privazione, quasi una castrazione fisica (le dita delle mani al posto del sesso). La mente controlla e raggiunge quella discesa all'inferno dove è impossibile tornare indietro
Straordinarie le sequenze della comunità russa in una Londra catturata in pochi, sinistri ambienti, dove esiste un sottobosco di crudeltà che implode senza che nessuno possa davvero ostacolare l'escalation di morte e sopraffazione. Notevolissima e agghiacciante la sequenza della sauna, un richiamo quasi manicheo del regista alla metafisica dell'orrore.
Notevolissimi Mortensen e (soprattutto) Cassel, un binomio di contrasti uniti dallo stesso codice familiare, interpretazione anti-glamour della Watts rappresentante di quel "mondo normale" che si affida all'escamotage materno per riabilitare una condizione empatica di violenza.
"Eastern promises" diventa pertanto un dramma familiare, razziale, sociale dove i pregiudizi si confondono sulle scelte sessuali, morali, affettive prima di arrendersi a uno sviluppo che porta ciascuna scelta a essere rispettata, ora in modo famigerato, ora in un deleterio bisogno di speranza. L'apoteosi del film, così sgradevolmente omofobo e anzichenò misogino, sembra coltivare l'impronta maschile di un'ingombrante catastrofe, un mondo senza uomini, senza padri e sicuramente senza figli
Io ho trovato comunque discutibile e convenzionale questo approccio: solidarietà nei confronti di una donna sfortunata, o istinto materno che sia (lei aveva perso il figlio da una relazione con un'afroamericano se non sbaglio) ma il finale è invero efficace perchè manda tutti a casa ognuno con i loro destini diversi, e il bambino ha diritto di vivere in quell'"altro mondo" dove non esistono conflitti almeno in apparenza Pertanto questo finale che apparentemente "riconcilia" con lo spettatore, è molto più amaro e devastante di quanto sembri
Crimson 24/12/2007 01:31:23 » Rispondi francamente non trovo alcuna connessione tra il film e 'i fratelli Karamazov'.
Lot 24/12/2007 14:21:07 » Rispondi beh, il rapporto padre-figlio e il desiderio di affermazione sono di quella radice direi...
kowalsky 24/12/2007 20:24:19 » Rispondi In effetti penso sia così (al di là del fatto che adoro la letteratura russa)