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UN ANNO CON TREDICI LUNE regia di Rainer Werner Fassbinder

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amterme63     8 / 10  19/10/2012 19:22:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' uno dei film più angoscianti che abbia mai visto. Alla fine della visione ero piuttosto scosso e ho pensato a lungo alla vicenda.
Racconta le ultime giornate (due, ma la scansione temporale è volutamente vaga) di un transessuale (un uomo che ha cambiato sesso per ragioni che nel film non vengono spiegate in maniera precisa), che si trova ad essere abbandonato e rifiutato da tutti, senza più prospettive o ragioni per vivere.
E' evidentemente un film metafora (come lo sono quasi tutti i film di Fassbinder) sullo scacco della condizione esistenziale e intellettuale umana (viene in mente "Il diavolo probabilmente" di Bresson) e sull'impossibilità per una persona "diversa", senza attrattive, senza valore di essere accettata dalla società e di poterci vivere. La forma del melodramma alla Sirk è qui privata di qualunque consolazione e portata alle sue estreme conseguenze di scacco, sconfitta e dolore.
Un film quindi molto duro, triste. In più questo è forse il film più emotivamente intenso di Fassbinder (in genere i suoi film hanno un'atmosfera distaccata e fredda). Il regista infatti aveva subito un gravissimo lutto (il suo compagno si era suicidato) e questo film è un tentativo di esame e di comprensione di ciò che può spingere qualcuno al gesto estremo. Il film quindi corre su due piani paralleli, quello della pietà e del dolore nei confronti di un essere umano rifiutato da tutti e quello del distacco e della riflessione su come possa avvenire tutto questo.
La caratteristica formale del film è propria quella di sovrapporre immagini cruente, dolorose con discorsi esplicativi e distaccati; un contrasto veramente stridente e che colpisce, soprattutto nella scena del macello e nella scena finale. Quest'atmosfera fatta di contesti emotivamente dolorosi e di statica spiegazione razionale pervade tutto il film e lo rende particolare, facendone digerire la lentezza, la teatralità, la claustrofobia e l'inconcludenza.
Ciò che si coglie alla fine dal film è l'inevitabile esclusione dal vivere sociale di chi è diverso e senza pregi di sorta, come pure l'incomunicabilità, l'inconsistenza, l'impossibilità dei rapporti affettivi e amorosi fra le persone. Domina il cinismo e l'egoismo. Alla fine resta solo impotente pietà e muto dolore.
Era l'atmosfera cupa di sconfitta e disfatta umana che si respirava nell'arte della fine degli anni '70, la normalità di oggi.