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DOPO MEZZANOTTE regia di Davide Ferrario

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kafka62     6½ / 10  27/04/2018 11:32:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Fedele al principio che "le storie raccontate nei film sono sempre le stesse, ma la gente continua ugualmente ad andare al cinema", Ferrario mette in scena con "Dopo mezzanotte" una storia d'amore a tre che ricorda da vicino "Jules e Jim" (con in più però l'ironia del salvatoriano "Turné"), crea un personaggio, quello di Martino, che – imbranato come Buster Keaton, cineasta dilettante e custode notturno del Museo del Cinema alla Mole Antonelliana – è un po' il trait d'union con il mondo della settima arte, usa i mascherini e le immagini velocizzate proprio come Truffaut e i registi della nouvelle vague, e dissemina la sua opera di spezzoni di vecchie pellicole dell'era del muto, le quali non sono solo citazioni cinefiliche ma contrappuntano in maniera divertente la vicenda narrata: insomma, il regista torinese fa con "Dopo mezzanotte", se non un film originalissimo, sicuramente il più affettuoso omaggio al cinema che si sia visto in Italia dai tempi di "Nuovo Cinema Paradiso" (anzi, con il coevo "The dreamers", è sembrato quasi inaugurare una tendenza dei registi italiani a guardare indietro, al passato cinematografico, con affetto e nostalgia).
Il soggetto, in sé, è quasi risibile, e la stessa presenza di Silvio Orlando nelle vesti del narratore lo rende vieppiù leggero e svagato: un melodramma a tutti gli effetti e con tutti i crismi (la donna che non sa decidersi tra i due pretendenti, l'intervento decisivo del destino, ecc.), ma senza urla e senza strazi, anzi tenero e sorridente, memore della lezione di "Pane e tulipani". Così persino la morte finale dell'Angelo è corretta dallo sberleffo del cartellone elettorale di Berlusconi che gli passa davanti agli occhi negli ultimi istanti di vita. E anche l'urna cineraria che va malauguratamente a sfracellarsi al suolo dopo un volo di decine di metri ricorda il finale, altrettanto lieve e beffardo, de "Il grande Lebowski". Impregnato com'è di cinema (persino l'ultima immagine, quella di Martino e di Amanda che si avviano teneramente e goffamente verso la vita a due, è ricalcata sull'epilogo di un film di Buster Keaton), è difficile rintracciare uno stile davvero autonomo in "Dopo mezzanotte", ma la predilezione di Ferrario per gli scorci inediti, periferici e notturni della sua città, o l'uso spigliato, disinvolto e audacemente obliquo (non allineato cioè con i canoni estetici del cinema italiano, ma neppure del tutto estraneo ad essi) della sua cinepresa digitale sono assolutamente freschi e originali.