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DOPO MEZZANOTTE regia di Davide Ferrario

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  04/12/2010 13:49:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
«[La storia non è] motivata da un personaggio, bensì da un luogo: la Mole Antonelliana. Non so come ci pensai, fu una specie di folgorazione. Si trattava di un luogo estremamente suggestivo in sé – e poi era il Museo del Cinema. Ed era proprio lì, sotto casa.»

«Fin dall'inizio pensavo a un custode che non parla con nessuno, non solo ma non ha neanche voglia di parlare con qualcuno. Il mio custode doveva avere un atteggiamento imperturbabile, keatoniano appunto, rispetto alle cose del mondo. Non volevo una recitazione da cinefilo. Martino non è uno che conosce i tiutoli dei film, vede semplicemente dei film, vede delle cose, delle facce e da quelle impara.»

Davvero molto carino questo film di Ferrario: trovo ostico farne una recensione organica ed ordinata senza diventare prolisso, tanti sono gli spunti ed i piani di analisi, anche metacinematografici, che solleticano lo spettatore.
Di base praticamente è una favola sull'amore, con tanto di voce narrante fuori campo del grande Silvio Orlando, illustrata con un gusto per la comicità che omaggia i primi Keaton e Chaplin, quelli dei cortometraggi della scuderia di Mack Sennett (tant'è che si vedono pure delle scene di "Una settimana" e "Lo spaventapasseri" del grande Buster). Pasotti sembra uno Charlot dei tempi moderni, solitario, taciturno, malinconico, goffo, innamorato di una donna ma rivaleggiato da *****no (soprannominato per antifrasi "L'Angelo"), ladro d'auto e leader di una sgangherata gang di quartiere. E' un amore che brucia l'anima, come il fuoco simbolico e fisico dell'omonimo film di Pastrone, è un amore alla Truffaut - «Mi hai detto: "ti amo". T'ho detto: "aspetta". Stavo per dirti: "Eccomi". M'hai detto: "Vattene"».
L'impostazione della vicenda sentimentale a tratti è quasi tragicomicamente surreale: assurdo il rapporto a tre che si viene a creare fra Pasotti, la Inaudi e T.roiano (ricorda il "Bande à part" di godardiana memoria), per non parlare dello showdown tra i due nel magazzino delle auto rubate a colpi di botte di mazza che ricordano le slapstick comedies di Keaton.

Ma i personaggi a ben vedere son carichi di ben altro spessore, sia Martino che Amanda sono persone che fuggono da qualcosa alla ricerca di qualcos'altro, scappano dai moduli quotidiani di una vita noiosa e odiosa, sentono il desiderio di sentirsi parte della finzione per sfuggire alla banalità del quotidiano, cercano l'equilibrio, la fusione panica col mondo, cercano il proprio posto, una "giusta distanza" (non a caso uno dei temi cardine della cinematografia) che permetta di guardare alla realtà con raziocinio e consapevolezza; agognano ad un ordine matematico cosmico che parta dalla dimensione individuale per arrivare alla totalità delle cose (la serie di Fibonacci).

Al livello successivo, Dopo Mezzanotte è quasi metacinema. E' soprattutto un encomio: un elogio alla città di Torino, al cinema e al cinematografo, in maniera particolare a quel cinema delle origini, primitivo, visto come emblema di una "purezza" che mai più si ritroverà. A quel cinema dei Lumière, del kinetoscopio di Edison, a quello dei mascherini circolari di Griffith per porre l'attenzione sui particolari, a quello addirittura di Roberto Omegna (uno dei primissimi cineoperatori italiani, del quale uno dei documentari è visionato ripetutamente da Martino). A quel cinema che non opera quella mistificazione della realtà tanto odiata da Maurizio, il cugino di Martino. A quel cinema che, prima di essere considerato arte, è in special modo magister vitae - Pasotti che impara a vivere la vita, pure nei suoi lati prettamente pratici, dai film di Laurel ed Hardy -. Ad un cinema visivo, che vuole cogliere prima la bellezza delle immagini e delle ambientazioni e poi far muovere i personaggi al loro interno. E' il vedutismo dei Lumière, che rivive nel personaggio di Pasotti e nella sua cinepresa e si concretizza anche nella scelta registica di Ferrario, attentissimo all'impatto visivo della pellicola (diverse scene sono un piacere per gli occhi, la scena d'amore tra Pasotti e la Inaudi, la scena della piazza e la scena di *****no e la Picozza che parlano ai bordi dell'acquedotto immerso in una luce rosso fuoco).

E così, in questa notte catalizzatrice degli eventi, in quel luogo dove la fusione tra splendore architettonico e magia del cinema possa manifestare al meglio tutto il suo fascino, si leva e fluttua nell'aria il mucchietto di polvere che rimane delle vicissitudini intrecciate dai personaggi. "Le storie sono come la polvere, le storie sono polvere. Leggere, sospese in una corrente d'aria che le sospinge dove vuole. Qui, per esempio, dove noi concludiamo le nostre storie e lasciamo voi alle vostre, ben sapendo, che la parola fine è la meno indicata, perché i film possono finire, ma il cinema non finisce mai.". Meravigliosa ed appassionata dichiarazione di amore totalizzante e incondizionato nei confronti della settima arte.

Le prove degli attori non sono eccezionali, ma sia la bellissima Inaudi che T.roiano e Pasotti si trovano a proprio agio nella parte. In sostanza un ottimo film italiano, umile ed efficace nella sua elegante e raffinata semplicità, che riesce a sfruttare in maniera fantastica il budget basso a disposizione e che colpisce riuscendo a non prendersi mai sul serio. Applausi e nomination ai David meritatissimi per Ferrario.
Antoine Lumière diceva che il cinema è un'invenzione senza futuro. Beh, questo è uno di quei film che dimostra che aveva torto.

«Ci sono dentro i film muti di Pastrone, Buster Keaton, l'Alta Definizione e le marce funebri della Banda Ionica, della Banda di Avola, le musiche di Fabio Barovero e quelle di Daniele Sepe. Un paradosso? Non lo è da sempre, il cinema?» (Davide Ferrario)