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SWEENEY TODD: IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET regia di Tim Burton

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amterme63     6½ / 10  12/02/2010 22:58:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Anche questo è un film che si può vedere in due modi. Se lo scopo è passare un paio d'ore divertenti vedendo delle belle immagini filmate, allora non c'è che dire: Tim Burton soddisfa a scatola chiusa. C'è prima di tutto una grande cura visuale: le immagini sono molto caratterizzate coloristicamente e l'atmosfera è veramente suggestiva (da questo punto di vista Burton non è mai stato deludente); poi le emozioni, le sorprese e la suspence non mancano. Si strizza l'occhiolino ai cultori del gotico, ai sentimentali, ai fan dei film musicali e agli amanti del genere splatter. Insomma, si cerca di piacere un po' a tutti.
Però non a tutti. Ad esempio, a quelli a cui piace riflettere ed emozionarsi con la varietà della vita e con la profondità dell'animo umano, nonché capire un po' di più sul nostro mondo collettivo, beh, sinceramente lascia una certa delusione. Non basta la scusa che si tratta di un lavoro di fantasia simil fiaba, per giustificare il trattamento dei personaggi assolutamente a due dimensioni (soprattutto i personaggi di contorno) come pure lo svolgimento della vicenda, fin troppo piena di coincidenze fortuite determinanti.
L'arte stessa di Burton appare ormai quasi maniera, visto che si ritrova a ripetere senza grosse variazioni cliché già espressi al meglio in altri film (Gotham City era molto più convincente di questa Londra falso-ottocentesca che sembra fatta di cartone – come pure gli inserti musicali che erano magnifici e intensi in Nightmare Before Christmas, qui appaiono decisamente leziosi e stonano con la truculenza delle scene).
Il tipo di immagini mostrate, i caratteri dei protagonisti, la conclusione, fanno certamente riflettere. Prima di tutto appare chiara l'intenzione di Burton di proseguire nello sdoganamento del brutale e del macabro. Tarantino aveva tenuto l'orribile in un ambito neutro, in un chiaro contesto di finzione; Burton invece lo nobilita, lo spinge ancora più in avanti, ponendolo accanto al filone romantico e musicale e dandogli le fattezze dello stile espressionista. In pratica suggella l'abitudine e l'accettazione quotidiana che abbiamo ormai del sanguinolento, del brutale e ne fa merce di consumo nobile. Come nei primi film aveva sdoganato la cultura punk, ora sdogana la cultura death metal. Tutto fa brodo per eccitare spettatori a caccia di emozioni sempre più forti.
L'etica di questo film è più o meno quella resa di dominio comune da Tarantino, cioè che non esistono più personaggi buoni e personaggi cattivi, ma personaggi cattivi giustificati e personaggi cattivi ingiustificati. L'eroe è in ogni caso cattivo e ha ragione di essere cattivo (così presume il lato estetico della rappresentazione – vedi ad esempio il finale che pur punitivo esalta comunque la grandezza del personaggio, la loro è una fine più degnamente brutta degli altri). L'etica della vendetta appare come scontata, quasi fuori discussione (altra caratteristica che lo avvicina a Tarantino). Strana ironia culturale per un paese come gli Stati Uniti che hanno il richiamo al religioso cristiano addirittura nella costituzione.