Alpagueur 7 / 10 15/01/2021 18:32:41 » Rispondi Dopo "A Venezia...un dicembre rosso shocking" (1973, di Nicolas Roeg), "Solamente nero" (1978, di Antonio Bido) e "Paganini Horror" (1989, di Luigi Cozzi), film straordinari (soprattutto i primi due), ero desideroso di tornare a respirare le atmosfere 'gialle' lagunari (Venezia è sempre Venezia) e così sono inciampato in questo insolito thriller psicologico, che mi era sempre sfuggito per un motivo o per l'altro. L'industria cinematografica italiana ama Alfred Hitchcock, questo è un fatto comunemente noto, e molti registi (ad esempio Dario Argento) hanno preso in prestito lo stile e gli elementi sostanziali dalla ricca opera del regista inglese per usarli nei loro gialli. I quattro (!) sceneggiatori de "La vittima designata" (Augusto Caminito, Aldo Lado, Maurizio Lucidi, Antonio Troisio) portano ancora di più la loro ammirazione per il maestro della suspense, poiché questo è fondamentalmente un combo-giallo-remake di due dei thriller più iconici di Hitchcock, "L'altro uomo" (1951) e "Il delitto perfetto" (1954). Tomas Milian, tra il periodo degli spaghetti western e quello dei poliziotteschi, interpreta il dirigente pubblicitario di successo Stefano Augenti che desidera vendere tutte le sue azioni per 250 milioni (di lire) ed emigrare in Venezuela (paese che non ha estradizione verso l'Italia) con la sua calda amante Fabienne, una fotomodella. Il piccolo problema, tuttavia, è che le azioni di Stefano appartengono alla moglie Luisa e lei si rifiuta di vendere o addirittura concedere il divorzio a Stefano. Mentre è a Venezia con Fabienne, Stefano incontra l'eccentrico giovane conte Matteo Tiepolo, il quale si presenta con una peculiare proposta. Si offre di uccidere la moglie di Stefano, se Stefano accetta di uccidere suo fratello. Sebbene Stefano non sia mai veramente d'accordo con il piano, Tiepolo va già avanti con la sua parte e uccide comunque la moglie. Stefano ora dipende dal conte per il suo alibi e quest'ultimo aumenta la pressione per portare a termine la sua parte dell'affare. "La vittima designata" è decisamente un thriller approssimativo, abbastanza raffazzonato (il finale lo conferma). Tomas Milian e Pierre Clementi sono eccezionali, le location delle riprese (in particolare Venezia) sono mozzafiato e la trama conosce alcuni momenti di notevole tensione, ma il ritmo è nel complesso troppo lento e la mancanza di azione è piuttosto frustrante. Il regista Maurizio Lucidi non ha lo stesso estro e maestria di alcuni dei suoi colleghi contemporanei, risultando in un film spesso noioso da guardare. Il colpo di scena è prevedibile e, a mio modesto parere, non risolve nulla per Stefano e lo spinge solo più a fondo nella miseria. È interessante però come il film si allontani dal romanzo di Patricia Highsmith e dal film di Hitchcock. Il conte Matteo (Pierre Clementi), come i suoi omologhi della Highsmith e di Hitchcock, proviene da un ambiente privilegiato, libero dalle esigenze di doversi guadagnare da vivere e da un posto nella società. L'infelice marito Stefano era un disegnatore da quattro soldi che sua moglie aveva sollevato dalla totale insignificanza sociale, ora che è ricco (grazie a lei) pensa come un uomo d'affari ma sua moglie lo preferisce così com'era e non lo ama più, dice. Sempre a differenza dei film di Hitchcock qui abbiamo una fotografia ricca e barocca, una grande atmosfera e meravigliose performance di recitazione: Milian e Clementi interagiscono perfettamente aggiungendo all'intera storia un tenue senso di ambiguità che la arricchisce e potrebbe aver portato a percorsi sconosciuti al film di Hitchcock. Venezia e il palazzo del nobile Matteo Tiepolo sono perfettamente metafora della decadenza morale di Viscontiana memoria. Buona direi anche la colonna sonora: la ninna nanna gotica "My shadow in the dark" con il suo fatalistico ritornello "morire, dormire, forse sognare" è cantata dallo stesso Tomas Milian e accompagnata dalle chitarre dei New Trolls (si sentirà all'inizio, alla fine, e in poche scene chiave come quella in cui Stefano, accompagnato da Fabienne, acquista il medaglione col "12" stilizzato a forma di uccello in una bancarella di Venezia, e nello stesso momento Matteo gli mette sopra la sua mano, in quello che sarà il loro primo incontro). Ma non c'è solo questa nenia...tutto il film è impregnato dei violini del maestro argentino Luis Enríque Bacalov, che in certi frangenti mi hanno riportato alla mente le tipiche sonorità di Vivaldi (siamo a Venezia dopotutto...quindi chi meglio di Vivaldi poteva renderle omaggio?) e a cui non sono potuto restare indifferente, con mio sommo (dis)piacere. Eh si, lo ammetto, avevo un po' sottovalutato la colonna sonora de "La vittima designata", invece tutto sommato si è rivelata interessante. Non è potente e devastante (a livello di emozioni e di adrenalina pura) come certe ost di Nicolai e Cipriani o dolce come certe di Ortolani o Morricone, però ti lascia il segno in qualche odo. In combinazione con le atmosfere della laguna veneta fa il suo 'sporco' lavoro. Come dicevo sopra c'è una ricorrenza di questo numero 12 durante tutto il plot (al casino, al secondo incontro, alla roulette, Matteo punta sul 12 rosso e fa perdere 100.000 lire a Stefano...Matteo vuole far uccidere il fratello di giovedi a mezzogiorno, le 12, al 12° rintocco della campana dei 'Do Mori'...Matteo uccide Luisa Monti, la moglie di Stefano, alle 11:22...), non è casuale, il numero ha un profondo significato esoterico (nella mitologia greca gli dei principali del monte Olimpo sono 12, come 12 sono le 'fatiche' di Ercole e il numero dei Titani e delle Titanidi...nella letteratura medievale, 12 sono i Paladini di Carlo Magno e 12 sono i Cavalieri della Tavola Rotonda alla corte di re Artù). Il numero 12 viene considerato il più sacro tra i numeri, insieme al 3 e al 7. Il 12 è in stretta relazione con il 3, infatti la sua riduzione equivale a questo numero (12 = 1 + 2 = 3). Questo numero indica la ricomposizione della totalità originaria. In altre parole indica la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia. Infatti, il significato del numero 12 indica la conclusione di un ciclo compiuto. Il 12 è il simbolo della prova iniziatica fondamentale, la quale permette di passare da un piano ordinario ad un piano superiore, sacro. Il 12 possiede un significato esoterico molto marcato in quanto associato alle prove fisiche e mistiche che deve compire l'iniziato. Ecco che allora questo background esoterico e mistico del numero finisce per accomunare perfettamente Venezia ed il carattere malinconico, decadente del conte (che sembra quasi provare 'fatica', così come dicevo poco sopra a proposito delle 'fatiche' del 12, anche solo a respirare), in questo che forse è più uno psicodramma che un thriller canonico. Inoltre anche Lucidi, così come Martino ne "I corpi presentano tracce di violenza carnale", sembra voler toccare (senza approfondire troppo però come nell'altro film) certe tematiche di filosofia naturale (Jacques Monod), come il legame tra il caso e la necessità. Infatti così come il killer del film di Martino, anche l'emaciato conte Tiepolo qui sembra voler sottolineare come il primo sia figlio della seconda, per giustificare i suoi ripetuti incontri con Stefano ("tu vuoi sempre sapere tutto, sei sempre così logico, quello che conta è la fatalità, la fortuna" gli dice al terzo incontro all'aeroporto). Il finale è bello, teso, poco prevedibile, e la lunga sequenza finale della fuga di Stefano ricorda molto quella di John Baxter in "A Venezia...un dicembre rosso shocking", anche se l'epilogo del film di Roeg è decisamente più impressionante. Come dicevo sopra questo film è più un dramma psicologico che un giallo/thriller (quindi il voto va dato considerandolo non come un giallo, perchè come giallo 'puro' risulterebbe scadente), che cerca di intenerire lo spettatore con un sentimento antico e importante come l'amicizia (fra uomini), che per Matteo è un sentimento vero, forte, virile e non di degrado, di depravazione, come l'amore fra uomo e donna (Matteo sembra odiare le donne, sparla da subito della sua accompagnatrice vantandosi con Stefano di averla prostituita una volta a Londra e poi sbeffeggia la stessa moglie di Stefano, dopo averla uccisa, dicendogli "come sono povere di fantasia le donne" in riferimento al fatto che lei si era bevuta tutte le balle che gli aveva raccontato durante l'incontro preliminare a casa sua), il problema è che alla fine si tratta di un'amicizia dettata dalle rispettive necessità (anche se il nobile veneziano parla di 'vocazione' ma lui non è disposto solo a dare tant'è che dopo aver ucciso la moglie di Stefano pretende che lui ricambi allo stesso modo, tenendo così fede ai patti) e non da una effettiva e spontanea presa di coscienza di ambo le parti. Lo stesso conte parla a Stefano di "un superbo delitto gratuito", uno scambio reciproco di favori, e sin dal primo incontro è quello il suo scopo. C'è anche una scena, molto toccante, a casa di Stefano, davanti allo specchio (che fa un po' molto il William Wilson di E.A. Poe, con l'alter ego riflesso e il mantello da nobile soldato...) in cui Matteo dice "e guarda, guarda Stefano, tu sei il mio vero fratello, per questo devi essere tu a eliminare quello falso, e d'ora in poi, guardandoti allo specchio, tu vedrai anche me, perchè io ho fatto tutto ciò che tu sognavi di fare, sono il prolungamento d te stesso, la tua volontà in atto!" (le parole stesse ricordano quelle dell'alter ego, buono, del celebre bellissimo romanzo di Poe). Ecco, una cosa che ho notato, in nessuna recensione viene mai accennato a questo parallelismo tra Matteo Tiepolo e William Wilson...questo dualismo metafisico viene rivelato anche attraverso altre perle di saggezza (chiamiamole così) che Matteo non perde occasione di dispensare ad ogni occasione buona al povero Stefano, che non può far altro che ascoltarlo ("Il delitto è un rito, devi uccidere per amicizia, non per odio", "non è me che devi uccidere, ma mio fratello", "io ho ucciso qualcosa che era già morto in te", "siamo come Caino e Abele, ci cerchiamo solo per farci del male, per distruggerci", "no, lui è molto forte, tra noi c'è una maledetta attrazione, non possiamo fare a meno l'uno dell'altro, siamo come una persona sola", "io parlo di mio fratello, da quando esisto lo scopo della sua vita è quello di impedirmi di vivere, vuole distruggermi, sadicamente e lucidamente, vuole convincermi che sono un verme, e questo per sentirsi un essere d'eccezione, vuole schiacciarmi e per questo lo odio e ho deciso che deve morire"). Curioso infine il fatto che l'unico delitto del film sia avvenuto fuori campo (insomma, le ipotesi si sprecano...). Come film drammatico/psicologico è buono, e come tale lo giudico, mentre come 'giallo' non soddisfa le mie attese (non c'è un serial killer, non ci sono traumi scatenanti, non c'è un movente intrigante, l'unico delitto avviene fuori campo etc. solo le musiche e il finale sono piuttosto interessanti). 7 forse è una valutazione eccessiva, ma ci può stare.
Ma alla fine questo fantomatico fratello esisteva davvero? perchè Matteo, a giudicare dalla faccia violacea, era già in fase di rigor mortis prima di essere colpito al cuore, ma almeno da 2-3 ore...quindi o era affetto da DDI e la sua parte "cattiva" aveva preso il sopravvento suicidandolo, come per Wilson di Poe (ma in questo caso come ha fatto a mettersi così composto sulla sedia e soprattutto come si è suicidato dato che non c'erano altre tracce di sangue sul corpo?), oppure, ipotesi più probabile, il vero fratello (cattivo) lo aveva fatto fuori prima (intuendo il piano) strangolandolo, e poi lo aveva messo seduto dove era stato deciso con Stefano, come a sfregio, facendogli incassare anche la pallottola di Stefano. Ho trovato anche un po' forzata la facilità con cui Matteo uccide la moglie di Stefano (il suo primo omicidio!), senza lasciar alcun segno della colluttazione per casa anzi facendo sparire tutte le impronte (dirà poi a Stefano "è la prima volta che uccido, ma ti confesso che è stato molto facile, basta agire con precisione e con calma"). Ma come detto sopra il delitto è avvenuto 'fuori campo' per cui tutte le ipotesi sono possibili (avvelenamento preventivo del drink etc.) certo è che Luisa non sembrava così ingenua da farsi uccidere in maniera così pulita, sapeva il fatto suo (lo dimostra durante la gita in barca col marito, quando gli legge nel pensiero che lui avrebbe voluto/potuto gettarla in acqua simulando un annegamento dato che lei non sapeva nuotare). E anche il suo continuo voler ribadire la loro 'amicizia' ("io sono tuo amico, non devi lasciarmi adesso"), subordinandola però al loro 'patto' e al ricatto ("devi tener fede ai patti", "sai che il codice penale è più severo col mandante che col sicario?"), inventandosela e sporcandola quindi, mi è sembrata una dinamica un po' coatta anche per uno psicodramma (non si erano mai visti prima in fondo). Già al loro terzo incontro lui si espone troppo "sai Stefano ho pensato una cosa, io uccido tua moglie, e tu mio fratello, un superbo delitto gratuito...tu non conosci mio fratello, io non conosco tua moglie, e nessuno, nessuno, ci potrà mai scoprire" e poi rincara la dose con frasi come "l'assoluto Stefano, non è mai ragionevole", "io adoro il melodramma, non sulla scena, nella vita", "tu sei sempre vissuto nel compromesso, mentre lei preferiva le soluzioni radicali, come me". La scena conclusiva, in cui Stefano spara col fucile di precisione al petto di Matteo attraverso il foro circolare della finestra dalla Basilica di Santa Maria della Salute, presenta diverse analogie con quella finale del film di Michele Lupo "Concerto per pistola solista" del 1970, dove il marchingegno camuffato da telescopio collegato all'orologio nella torre fa partire un colpo verso la vittima designata (anche qui alle 12!) ma al primo rintocco stavolta.
Ti do la mia interpretazione alle domande che mi sono fatto anche io: secondo me il regista lascia la risposta allo spettatore. Il conte sembra un personaggio fuori dal tempo. E' chiaramente pazzo e secondo me qualsiasi delle ipotesi che suggerisci sono valide. Alla fine sembra più interessato a sviluppare ill sodalizio/patto mefistofelico con Milian che al delitto vero e proprio del fratello come se quest'ultimo fosse solo il mezzo per fare precipitare e corrompere definitivamente il protagonista. Da un punto di vista scenico alla fine si vede il fratello gemello ucciso con la pallottola (se fosse già stato ucciso probabilmente il sangue non sarebbe colato in quella maniera) però come hai fatto notare tu ha il makeup bianco in faccia come a sottolineare ancora più visibilmente la sua morte. A me non sorprende la maniera con cui il conte uccide la moglie e cancella le tracce da vero professionista perchè ci sono tutti i suoi dialoghi a sottolineare quanto pazzo ma lucido e meticoloso sia. Sorprende di più che Millian che dovrebbe essere un pubblicitario piccolo borghese...alla fine semplicemente con un fucile di precisione mai usato prima ..con tutta quella frenesia e quell'ansia in corpo..riesca a fare secco al primo colpo un bersaglio a distanza.Ma in fondo io più che forzature le vedo come metafore dell'abisso di un uomo che cambia fino alle estreme conseguenze pur di rimanere il piccolo borghese che è.