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TRAFFIC regia di Steven Soderbergh

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kafka62     7½ / 10  18/02/2018 17:13:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Su Soderbergh pochi, me compreso, avrebbero scommesso qualcosa all'alba del nuovo millennio, tanto più se si considera che la sua opera più celebrata, "Sesso, bugie e videotape", è – a mio parere - anche uno dei film più sopravvalutati della storia del cinema. Ma Hollywood a volte fa i miracoli, e così anche Steven Soderbergh, come altri registi modesti come Curtis Hanson, Taylor Hackford o Ang Lee, è riuscito a tirarsi fuori dalle secche della routine commerciale e a realizzare un film di fattura pregevole. Da lì in poi Soderbergh ha proseguito una carriera fatta di alti (pochi) e bassi (più numerosi), ma intanto questo risultato ha dimostrato come si farebbe molto meglio a studiare i film piuttosto che gli autori. Perché se questo film lo avesse girato – che so – Michael Mann tutti starebbero a parlare di una poetica personalissima che accomuna tra loro tutte le sue opere e che, letta in controluce, rivela l'esistenza di un universo cinematograficamente concluso. Invece "Traffic" è di Soderbergh e, tra "Sesso, bugie e videotape", "Delitti e segreti" e "Erin Brockovic", non si sa proprio dove piazzarlo.
Ci limitiamo perciò molto più opportunamente a evidenziare l'originalissimo uso del colore, sporco, desaturato e virato seppia nelle scene girate in Messico, naturalistico e brillante in quelle statunitensi; il taglio secco, conciso, quasi documentaristico dettato da montaggio e cinepresa, che fa di "Traffic" il "Braccio violento della legge" del 2000; l'interpretazione magistrale di Benicio Del Toro, un volto scorsesiano che non può passare indifferente. Il tutto è miscelato in una composizione corale che, se superficialmente fa venire alla mente il solito Altman, in realtà rivela la presenza comune a gran parte del cinema americano contemporaneo di una grammatica fatta di storie polifoniche, di traiettorie che si intersecano, di conflitti tra caso e destino. Certo, tra i vari blocchi narrativi di "Traffic" qualcuno è meno riuscito di altri, come ad esempio il dramma familiare del giudice anti-droga Wakefield; ma una volta tanto il connubio hollywoodiano spettacolarità-moralismo funziona e il film, sorretto oltretutto da uno stile, come si diceva, azzeccatissimo, riesce a raggiungere un apprezzabile equilibrio tra speranza e pessimismo, tra vittoria e sconfitta, tra utopia e disillusione, risultando in fondo più realistico di tutte le altre opere girate in precedenza sullo scottante argomento della droga.