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FILM regia di Alan Schneider, Samuel Beckett

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Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf     10 / 10  02/10/2010 10:05:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo cortometraggio è un'opera filosofica che riesce ad esprimere in soli 17 minuti concetti estremamenti complessi.
Gilles Deleuze lo ha definito il più grande film irlandese e non si può non essere d'accordo con una simile definizione. Si tratta forse del mio cortometraggio preferito(e certamente del più significativo mai visto).
Descriverne la trama è relativamente semplice: un uomo - Buster Keaton - cerca di nascondersi dalla vista altrui, sia quest'altro un uomo, un animale o un oggetto inanimato.
Questo perché "esse est percepi", essere è essere percepiti, quindi è necessario occultarsi alla vista altrui per cessare d'essere. Questo riprende il concetto del filosofo Berkeley, secondo cui noi esistiamo fintantoché esiste qualcuno a percepirci.
Ma è un tentativo fallimentare quello di oscurarsi del tutto: il protagonista alla fine, dopo essersi sbarazzato d'ogni oggetto, perfino delle foto(del suo passato)e delle immagini sacre(Dio vede tutto), resta solo con se stesso ed è inevitabile il confronto con il proprio Io(che è la macchina da presa, alternativamente: il protagonista ha un occhio bendato, perché l'altro è rappresentato dalla cinepresa, monoculare).
Il fatto che Keaton interpreti questo personaggio - nonostante è risaputo che la sua scelta fu frutto di precedenti rifiuti da parte di altri attori - rende alla perfezione il contesto filosofico di questo cortometraggio.
Al di là della comicità di Keaton, la più adeguata ad interpretare questa parte, vi è infatti il punto principale su cui è basata quest'opera.
Buster Keaton, grandissimo attore del cinema muto(a mio avviso anni luce superiore al melodrammatico, moralista e nostalgico Chaplin), fu rovinato dall'avvento del sonoro, fallì e la sua vita amara non superò di molti anni la realizzazione di "Film". Accettò questo incarico inconsapevole del valore di quest'opera, solo per ragioni economiche. Anni prima, nel 1950, avrà anche un cammeo nel capolavoro di Wilder, Viale del tramonto.
Così il cortometraggio diviene anche l'impossibilità da parte di questo grande attore di fuggire da se stesso e dal proprio passato e, dunque, di sfuggire al co-protagonista di questo cortometraggio: la macchina da presa.
Dunque vi è il protagonista che fugge, inseguito, e l'antagonista, proiezione del protagonista stesso, la m.d.p. che insegue l'obiettivo, riuscendo alla fine ad avere la meglio. Il film si apre e si chiude con il dettaglio dell'occhio di Keaton... che alla fine si chiude.
Un saggio sulla visione(il titolo in origine doveva essere "The eye"), sul voyeurismo e sulla ricerca del non-essere, illustrando l'impossibilità di occultarsi alla propria stessa percezione. Ed è anche divertente, anche se indubbiamente non è per tutti. Può essere letto a diversi livelli, è immediato il significato(anche lo stesso Beckett lo ha spiegato), ma coglierne le diverse sfumature ed implicazioni filosofiche è estremamente complesso.