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L'ULTIMA MISSIONE regia di Olivier Marchal

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Invia una mail all'autore del commento anthonyf     8½ / 10  03/08/2012 19:41:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un thriller di Marchal davvero splendido, molto teso dall'inizio alla fine e profondamente malinconico nella storia. Se la sequenza di apertura è una delle parti più importanti di un film, "MR 73" comincia veramente in modo straordinario: ci troviamo subito di fronte al protagonista, di cui si intravede in bianco e nero il volto distrutto e provato, nascosto dagli occhiali da sole e dalla barba incolta, segno di trascuratezza dovuta al dolore che da sempre lo assilla nei suoi pensieri e ricordi e che non gli da mai pace. Una donna lo sta interrogando e dopo alcune brevi domande, l'uomo, di cui non si conosce ancora il nome e la professione, le porge con voce rauca una domanda: "Lei crede in Dio, dottoressa?".
"Non sarei qui, altrimenti".
L'uomo (che tiene il capo chino mentre parla) respira forte, rialza lentamente la testa e conclude in tono gelido: "Dio mi ha tradito. E io lo punirò!".
Con questo incipit strepitoso, di notevole impatto e suggestione, si apre questo bellissimo film di Marchal. L'uomo che ha parlato, trasandato nell'aspetto, ma con uno sguardo deciso e pronto a tutto, è Louis Schneider, un poliziotto alcolizzato, schiavo del proprio destino dopo la morte di sua figlia in un incidente stradale (rievocato malinconicamente in dei flashbacks brevi e cupi), nel quale anche sua moglie rischiò di morire: ora è ridotta in uno stato vegetale, sdraiata immobile su un lettino in una clinica privata.
L'uomo, nonostante i dolori e gli incubi del passato che tornano a visitarlo nelle notti e nei giorni, dopo aver dirottato in stato di ubriachezza un autobus, viene arrestato e scarcerato soltanto dopo un tempo indefinito, sotto fiducia dei suoi colleghi. Rimesso in libertà, continua a svolgere la professione di poliziotto e riprende ad indagare su un caso di omicidio, stupro e sevizie su alcune donne, tutte barbaramente torturate nelle stesse modalità: legate mani e piedi, messe in una certa posizione e nude d'aspetto. Schneider da' prova di grande intuito e di professionalità nel suo mestiere, nonostante l'alcolismo e il carattere schivo e burbero. Dopo alcune indagini con un fidato collega, comprende un nesso che vi è tra gli omicidi: ogni vittima possedeva un animale domestico e l'assassino doveva avere con loro molta confidenza. Infatti, sul luogo di uno dei tanti delitti, era stato trovato vivo un cane feroce che avrebbe senza dubbio attaccato l'estraneo, se quest'ultimo non avesse avuto alcune abilità personali, dovute al suo mestiere. Nello stesso tempo, una giovane donna, orfana di madre e di padre, uccisi da un criminale di nome Subra, viene a sapere che quest'ultimo sta per essere scarcerato. Angustiata da questo, cerca in tutti i modi di opporsi a tale azione, ma i giudici le dicono che l'uomo sembra cambiato e che per via dell'età avanzata e di altri particolari, può essere rimesso in libertà. Il tizio esce e comincia a seguirla in auto. Spaventata, la donna contatta Schneider, un poliziotto che ha riconosciuto tramite un articolo di giornale e gli chiede di aiutarla. L'uomo, dapprima non interessato alla cosa, accetta e comincia a lavorare. Schneider è stato, tra l'altro, anche trasferito al settore denunce per problemi con i colleghi, di conseguenza ha ceduto il caso degli stupri alla sezione del pavido Kowalski, dove lavorava anche il collega col quale indagava precedentemente. Chiuso in una morsa di omertà e di colpe, Schneider risolverà il caso degli stupri anche se non legalmente, salverà la donna che gli aveva chiesto aiuto precedentemente per paura di un arrivo improvviso del criminale Subra ed, infine, riunirà a sè la famiglia in un epilogo tristissimo ma davvero toccante e dolorosamente bello, punendo Dio per il suo tradimento.
A livello recitativo, non c' veramente niente da dire: un sublime Daniel Auteuil domina la scena in modo impeccabile, venendo affiancato da un'altrettanto brava Olivia Bonamy.
Sul lato tecnico, vale la pena soffermarsi soprattutto sulla fotografia grigia e piovosa, con una colorazione opaca, che segna quasi un punto di coesione di Marchal col cinema noir di Jean-Pierre Melville, andandosi a sviluppare in uno stile nuovo e esteticamente stupendo, attraverso anche le influenze del cinema di Alain Corneau e di Claude Miller. Il montaggio che alterna le vicende della Bonamy e di Schneider, incrociandole tragicamente nel finale è molto accurato e scorrevole; il sonoro è efficace e suggestivo; e la regia di Marchal è molto equilibrata, gradevole e di buon impatto, sia stilistico che estetico. La sceneggiatura fa il suo dovere, grazie ad un soggetto interessante e teso e, sebbene nel film si possano riscontrare alcuni cliché piuttosto frequenti nel cinema francese (e di Olivier Marchal) – alludo alla figura del criminale Subra, a certe scene un po' eccessive, ad alcune scelte di regia che possono essere non condivisibili, alla trama forse troppo lenta e ad alcune scene hot non troppo carine – il film un 8 e mezzo lo merita tutto.