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GOMORRA regia di Matteo Garrone

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kafka62     7 / 10  13/05/2018 15:58:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Premetto di non aver letto il libro di Saviano ed è probabile quindi che alcune delle considerazioni che farò sarebbero più correttamente attribuibili alla pagina scritta più che al film di Garrone. In ogni caso, la cosa che (del libro o del film) mi sembra più originale e meritevole di menzione è l'aver dato della camorra una visione a 360 gradi: non più (o non solo) guerre tra clan, sparatorie, droga e morti ammazzati, ma anche le fasi meno appariscenti e più lontane dall'immaginario pubblico di quella industria efficiente, invasiva e ramificata che è a tutti gli effetti la camorra. E così, accanto alle storie più convenzionali (nel senso di più aderenti ai cliché dei film di mafia) del ragazzino che per entrare nell'ambiente (ai suoi occhi affascinante, ma anche – va detto – l'unico che nel quartiere dove abita – una vera e propria città nella città – ha quotidianamente sotto gli occhi) accetta di superare la prova di iniziazione consistente nel farsi sparare a bruciapelo con indosso solo un giubbotto antiproiettile, e dei due giovani malavitosi che, scambiando scioccamente la realtà per un film di Scarface, decidono da soli di fare la guerra al boss della zona e finiscono uccisi senza pietà in un'imboscata, accanto a queste storie – dicevo – vi sono quelle, a mio avviso più interessanti, del sarto che viene pagato per insegnare nottetempo il suo lavoro ai cinesi, intenzionati a fare un'agguerrita concorrenza all'industria locale, con una manodopera sottopagata e perciò a prezzi più bassi, nella fabbricazione degli abiti di lusso; del galoppino che consegna ogni settimana una sorta di stipendio alle famiglie che hanno un congiunto in carcere; e soprattutto del cinico funzionario (un grande Toni Servillo) che si occupa di portare al Sud e smaltire i rifiuti tossici delle industrie settentrionali e che si arroga il merito di essere stato lui "a portare in Europa questo paese di …".
Garrone come sempre è molto preciso e accurato nella descrizione degli ambienti (cave abbandonate, spiagge deserte e soprattutto le famigerate Vele di Scampia) e nella direzione degli attori (a parte Servillo, tutti volti poco noti o addirittura non professionisti; del resto è stato lui, non dimentichiamolo, a scoprire gli strepitosi Ernesto Mahieux e Michela Cescon), e anche se il film, sulla carta, sembrava lontano dalle sue corde (finora le sue pellicole si erano concentrate sui destini di singoli personaggi malati e morbosi e non su storie corali di ampio respiro), il regista romano è riuscito a realizzare un'opera sincera, originale e potente, un caposaldo da cui d'ora in avanti non si potrà più prescindere quando al cinema si vorrà parlare di mafia o camorra, un piccolo capolavoro di pessimismo e disillusione il quale (a parte l'unica nota di speranza rappresentata dalla ribellione di Roberto, il giovane braccio destro del riciclatore di rifiuti che in un impeto di orgoglio civico decide di buttare all'aria la sua "carriera", magari per tornare a fare onestamente il pizzaiolo) getta un greve velo di impotenza sul destino di una città, Napoli, mai così lontana dall'immagine che ce ne avevano dato De Filippo, Totò e De Sica.