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IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO regia di Martin McDonagh

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     5 / 10  30/03/2010 17:04:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A Bruges la vita scorre lenta e anonima. Un posto perfetto per nascondersi e fare i conti con la propria coscienza. La città fiamminga sa “solo” produrre cioccolatini, regalare qualche scorcio medievale, mostrare cani alla finestra che guardano i vecchi seduti sulle panchine e invitare sui suoi canali navigabili che la fanno vagamente somigliare alla nostra Venezia.
Sembra una città qualsiasi (“noiosa” secondo i parametri di Ray, il personaggio interpretato da Colin Farrell) ma ben presto il suo panorama urbano genuino e affascinante si confonde con la vita di due sicari londinesi “parcheggiati” lì dopo un evento sanguinoso.

C’è la sensazione che il film voglia andar giù pesante su argomenti quali il senso di colpa, il peccato e la discesa agli inferi di anime tormentate: e la città scelta sarebbe anche giusta per risvegliare, con i suoi palazzi, i dipinti inquietanti sul Giorno del Giudizio e le ampolle contenenti il sangue di Cristo, la moralità.
Gli scenari sono splendidi: si passa dalle sale del Museo Groeninge con i dipinti di Magritte e Bosch alla Torre del Campanile dalla cui cima si può godere di una vista impareggiabile.
Quest’ultimo sarà anche un luogo fondamentale per lo svolgersi delle vicende: i suoi quasi 400 scalini vedranno morire d’infarto un turista americano e scorrere un bel po’ di sangue.

Purtroppo la svolta “acida” a metà strada fra Tarantino e i fratelli Coen (senza la rilevanza dei dialoghi diluiti del primo e l’arguzia dei secondi) non è molto appropriata: forse si voleva premere l’acceleratore sul sogno e il surreale ma, tra coca, prostitute, nani e pistole caricate a salve… si perde di vista un po’ quella che è la coscienza del titolo tradotto in italiano.
Si abbandonano le atmosfere thriller e noir; ed è un vero peccato perché gli attori a disposizione erano di una certa rilevanza.

Il Caso e il Fato entrano troppo in gioco e perfino la musica che accompagna le vicende diventa da intrigante a inutile. Una caricatura forzatamente a incastro di tutti i personaggi esistenti riflette un esercizio di stile un po’ vanitoso e antipatico, e mostra assassini e mandanti maldestri che ripetono “ca**o” all’infinito, giusto per dare spessore alle loro nevrosi.
E’ per questo motivo che non posso ritenere all’altezza la sceneggiatura scritta dal volenteroso regista Martin McDonagh: coinvolgente e incrollabile nel suo incipit quanto imperfetta, sofferente e trascurata in seguito.
Le scene d’azione sono prevedibili e non interessano, soprattutto quando si decide (sorpresa delle sorprese) di mettere in scena un inseguimento sotto una neve posticcia (sigh!) fioccante sulla città addobbata per le feste di Natale.
TheSorrow  13/08/2010 19:31:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
nonostante la mia opinione sul lungometraggio sia diametralmente opposta alla tua, apprezzo chi almeno riesce ad argomentare le proprie perplessità.nonostante tutto le scene d'azione non mi paiono onestamente così poco interessanti, e i dialoghi, seppure surreali, ritengo siano assolutamente di livello e ciò che permette al film di avere una marcia in più.Sul fatto che si perda di vista la cosiddetta 'coscienza dell'assassino', vorrei ricordarti che essa costituisce si un elemento chiave del film, ma calcare eccessivamente su tale tasto potrebbe renderlo esageratamente politically correct o addirittura banale, oltretutto vorrei ricordare che la scelta del sottotitolo da parte dei traduttori italiani è frutto di una loro decisione, non dettata da una particolare attenzione per tale elemento del regista.