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SILENI regia di Jan Svankmajer

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_Hollow_     10 / 10  02/09/2014 04:14:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci vuole poco per capire di essere di fronte ad un capolavoro. Basta una presentazione di Svankmajer in stile "La città nuda" di Dassin (non mi viene in mente nient'altro di simile al momento), dei titoli di testa su quelle carte (con focus sui particolari) che torneranno nel finale, la fotografia, la caratterizzazione di tutti i personaggi (Jean e il Marchese in primis), lo stop-motion con lingue, galline, carne ...

Vengono in mente un sacco di stili e poetiche guardando quelle immagini: dal Lynch di Eraserhead alle carni industrial di Cronenberg e Tsukamoto, passando dai primi piani della Giovanna D'Arco di Dreyer, Bunuel, il cibo di Greenaway (Il ventre, Il cuoco ecc.), la gallina di Stroszek e chissà cos'altro.

Sta di fatto che Svankmajer sviluppa un tema (quasi) tutto suo (forse la cosa più vicina è proprio quel Eraserhead fatto di feti piovuti su di un palcoscenico), in cui vengono dipinti i due estremi più totali di quel manicomio che è poi la vita (e qui mi viene in mente pure il Joker dell'altro capolavoro firmato Dave Morrison e Dave McKean, Arkham Asylum, quello del "E divertiti la fuori ... nel manicomio ... e ricordati che se la vita si fa troppo dura, qui per te c'è sempre posto!"): De Sade da una parte e le torture dei fascismi dall'altra.
Non c'è via di mezzo: coercizione dei corpi mentre la violenza conservatrice e bigotta rinchiude e distrugge i lunatici, orge blasfeme quando i pazzi dominano il mondo rinchiudendo "l'autorità" al loro posto. Jean, mite, innocente e ingenuo, sarà solo la vittima di turno. Jean è il popolo, in balia di chi è addetto ad assumere il comando dopo le rivoluzioni.

"Chi le ha detto questo?"
"Il direttore del sanatorio."
"*sorriso* (potenza del cinema di utilizzare tempo, immagini e parole), Io sono il direttore del sanatorio."

Non c'è scampo dalla follia, perché ci è inculcata dal potere assoluto di turno. Loro ci "eccitano" fino a quel punto, un drappo rosso per il toro infilzato da ogni parte, follia che appare quasi come la risposta naturale alla pazzia dilagante. Non c'è gradazione di grigi, di fronte al bianco e al nero o ti schieri e diventi il nemico dell'altra fazione o diventi semplicemente un'altro tipo di pazzo, il più pericoloso perché fuori da ogni schema. Quello con la convinzione di non essere pazzo. E mi ritorna in mente il Joker, ma questa volta dal Killing Joke di quell'altro geniaccio di Alan Moore:
"Fai quello che farebbe qualsiasi uomo sano di mente nelle tue terribili circostanze. Stai impazzendo."
"Signore e signori! L'avete letto sui giornali! Ora rabbrividerete guardando con i vostri occhi il più tragico degli errori commessi dalla natura! Ecco a voi ... l'uomo medio! [...] Notate il piede equino della coscienza sociale e il suo ottimismo rattrappito. Ma davvero ripugnanti sono le sue fragili e inutili idee di ordine e sanità mentale. Applicando loro una forza eccessiva ... si spezzano. -Come fa a vivere?-Voi mi chiederete. Come sopravvive questo misero, patetico esemplare nel mondo crudele e irrazionale di oggi? Purtroppo la risposta è non troppo bene. Di fronte all'inoppugnabile dato di fatto che l'esistenza umana è folle, vana e casuale, a un esemplare su otto da di volta il cervello! E come fargliene una colpa? In un mondo psicotico come questo ... ogni altra reazione sarebbe una pazzia!".
"Ho provato che non c'è nessuna differenza tra me e gli altri! Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l'uomo più assennato del pianeta. Ecco tutta la distanza che passa tra me e il mondo. Una brutta giornata."

Nel caso di Jean è bastato vedere che i bigotti, dietro una porta, non sono poi così diversi dagli altri. Ricordarsi del discorso del Marchese sull'ipocrisia delle buone maniere per non capire più dove fosse la linea di separazione tra sanità mentale e follia.
E ci sarebbe molto altro di cui parlare, come di quei suoni gutturali emessi dal senza lingue e dal carceriere ritardato, oppure di quei primi piani con sguardo in macchina e risata del Marchese, in cui veniamo posti, in una scena, addirittura nei panni di Gesù e il Padre.
Oppure della (falsa?) modestia di Svankmajer presentando il film in modo estremamente preciso, con dedica a Poe e De Sade, denunciando la morte dell'arte.
E tutta quella carne ... viva e addirittura impegnata in attività umane. Quella carne che esce nelle uova per andare a macinarsi in un ciclo infinito. Mai più felice di essere vegano.