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TUTTO SU MIA MADRE regia di Pedro Almodovar

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kafka62     8 / 10  09/05/2018 15:12:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Almodovar guarda ai modelli "alti" del melodramma hollywoodiano, omaggia ripetutamente "Eva contro Eva" e "Un tram che si chiama Desiderio" e, in quello che è il film più citazionistico della sua carriera, riesce anche a essere più personale che mai e a realizzare il suo tanto atteso capolavoro. Lesbiche, transessuali, prostitute e drogati sono ovviamente presenti in "Tutto su mia madre" non meno che nei precedenti film, ma mentre in questi a prevalere era alla fin fine il grottesco, il bizzarro, lo stravagante, di modo che le loro vicissitudini erano osservate come le evoluzioni di animali al giardino zoologico, qui la prospettiva è quella di uno studio psicologicamente molto più approfondito, facilmente universalizzabile anche quando affronta un'umanità molto particolare e marginale. Persino il continuo oscillare tra finzione e realtà, tra teatro (o cinema) e vita, non è più un vezzo cinefilico o l'escamotage per movimentare la trama, ma serve a definire meglio i personaggi e, più in generale, il genere femminile: così, il fatto che Manuela reciti, prima in ospedale nelle sedute di simulazione poi a teatro per sostituire un'attrice assente, e lo stesso, con altrettanta naturalezza, faccia Agrado, è un modo per svelare una caratteristica peculiare delle donne, il fatto cioè che esse per tutta la vita sono costrette o portate a fingere, a emulare e quindi in un certo senso a recitare (ancora Agrado afferma a un certo punto: «Una è tanto più autentica quanto più assomiglia a quella che ha sognato di essere nella sua vita»).
E' straordinaria la sensibilità che Almodovar dimostra per l'altra metà del cielo, e questo gli permette di osare una serie impressionante di sequenze sempre al limite del patetico e del lacrimevole le quali, girate con mano meno felice, avrebbero facilmente fatto cadere il film nel ridicolo. E invece siamo qui a parlare dell'almodrama, quella inconfondibile e geniale miscela di comicità e tragedia, di melodramma e grottesco, con cui è stato identificato il cinema del regista spagnolo, che si dimostra degno epigono dei Sirk, dei Mankiewicz e – perché no? – dei Fassbinder. Rispetto a loro, comunque, Almodovar dimostra di avere una visione della vita meno tragica e pessimistica, poiché se è vero che il figlio di Manuela muore in un incidente d'auto e Rosa di AIDS, nondimeno all'eroina (interpretata da una Cecilia Roth di commovente bravura e simpatia) è riservata dal destino una sorta di consolatoria compensazione, in quanto alla fine un nuovo figlio rimpiazzerà al suo fianco quello perduto. La morale di Almodovar è chiara: con la disponibilità ad accettare i casi della vita come altrettante occasioni per rimettere in gioco sé stessi in rapporto agli altri, nulla può dirsi perduto, in quanto la passionalità, la voglia di sopravvivere costi quel che costi e, soprattutto, la solidarietà umana (specie se coniugata al femminile) possono ovviare alla provvisorietà dell'esistenza e alla momentanea mancanza di felicità.