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CHIAMAMI SALOME' regia di Claudio Sestieri

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gerardo     7 / 10  28/05/2008 00:27:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il film di Sestieri traspone cinematograficamente, attualizzandola, la Salomè di Oscar Wilde. La scena si sposta dalla Galilea pre-cristiana all’ambiente camorristico contemporaneo, nel quale Erode è un boss malavitoso e Giovanni un giovane rapito tempo prima e prigioniero di Erode.
Questa attualizzazione, che rimanda - per la ricontestualizzazione mafiosa - a quella del Romeo e Giulietta di Baz Luhrman, trasferisce gli elementi anarcoidi, arbitrari e sanguinari del potere (nel caso specifico quello imperiale romano dell’Erode di Wilde) nella figura del boss camorrista, una figura che – considerando il contesto sociale e culturale su cui si fonda l’organizzazione criminale – può meglio riprodurre, in una società attuale, quei codici espressivi caratteristici del fare dispotico.
La struttura del film, però, resta d’impostazione teatrale ed è in questo che, pur evidenziando notevoli pregi scenici, trova i suoi maggiori limiti.

Erode sta dando una festa per alcuni uomini dell’organizzazione criminale giunti dall’America. La scena si svolge all’interno di un vecchio capannone nel quale è stata allestita una sorta di discoteca/night club in cui si esibiscono delle danzatrici (e) prostitute davanti a un pubblico di invitati.
Erodiade, nuova moglie di Erode e sua ex-cognata, vive con la coscienza sporca del sangue del suo primo marito, il fratello di Erode, da cui ha avuto una figlia, Salomè. La sua coscienza è tormentata costantemente dagli strali minacciosi di Giovanni, un ragazzo rapito tempo addietro da Erode e tenuto segregato in un vecchio furgone semidemolito.
Erode è attratto morbosamente dalla giovane figliastra/nipote, che lo disprezza. La ragazza, però, colpita dalle continue invettive del "profeta", si innamora di Giovanni e tenta invano di baciarlo, di possederlo.
Carolina Felline è una moderna Salomè, un’adolescente capricciosa e furba, ancora acerba nel corpo (sì, insomma, Carolina non è più un’adolescente da un bel po’, ma le sue fattezze ne rievocano proprio la non piena maturità), ma pronta a e capace di esaltare tutta la propria sensualità nella danza ("dei sette veli") che Erode le ha insistentemente chiesto di interpretare, così da raggiungere il suo scopo (coincidente, per certi versi, con quello di sua madre Erodiade).

"Era una voce"

Giovanni/Elio Germano, seminudo e con barba e capelli lunghi, un po’ rasta, appare poco, solo nella prima parte, nel confronto con Salomè. Però la sua voce continua lancinante e potente ad attraversare il film, fuori campo, e la coscienza sporca di Erodiade. Erode, suggestionato costantemente dalla luna, che rappresenta la donna e la femminilità, e da un immaginario vento gelido che scaturisce dalle ali del grande uccello nero della morte (ancora una volta eros e thanatos intrecciati), teme le profezie di Giovanni. Il suo timore è tale da non volerlo uccidere, da implorare Salomè di sciogliere il patto col quale la ragazza chiede la testa del giovane prigioniero. Ma un boss che voglia essere rispettabile mantiene sempre la parola.

La componente teatrale è fondamentale e la recitazione ne asseconda i caratteri.
Ernesto Mahieux si conferma grande interprete nel ruolo mitico di Erode: pur essendo un boss camorristico – quindi un personaggio ben delineato storicamente e sociologicamente -, l’Erode di Mahieux, riproducendo canoni e codici espressivi del potere, si situa nello spazio mitico fuori da tempo e storia, mentre Elio Germano è ottimo nella sua apparente oscura follia profetica e accusatoria.

Carolina/Salomè è straordinaria femme fatale, delicata e perfida, innocente e sensuale. La sua recitazione, enfatizzata nell’aspetto teatrale, si stempera con la profondità cangiante dei suoi occhi, coi quali più frequentemente si esprime.
Un po’ più defilata e sotto tono è l’Erodiade di Caterina Vertova, il cui ruolo, semmai, diventa quasi didascalico nello spiegare come il fascino del potere l’abbia inizialmente conquistata e avvinta per poi rivelarsi vacuo e insignificante.

Le belle scenografie kitsch/barocche (per la scena centrale della festa) e fatiscenti/minimaliste (per il “retro” oscuro della prigionia) di Antonello Geleng e Mario Fontana rendono perfettamente il clima orgiastico decadente che avvolge la parabola di Erode e della sua famiglia peccaminosa; scene esaltate anche dall’ottima fotografia di Marco Onorato.

I limiti del film, come detto inizialmente, risiedono proprio nella sua struttura teatrale: da una parte ne risente la recitazione (alcune battute che risulterebbero efficaci a teatro, appaiono un po’ forzate nella trasposizione filmica), dall’altro la scelta di usare, in alcune scene, la macchina a spalla non sembra essere motivata da esigenze narrative “naturalistiche”, tanto più che l’impostazione teatrale del film, enfatizzata dalla scenografia e dalla ristrettezza scenica, richiederebbe probabilmente una maggiore resa estetica e formale, così come in parte è per tutta la durata della scena della festa, in particolare della danza di Salomè o delle coreografie nella piscina.

La distribuzione pressochè inesistente non rende comunque merito al film.
Bathory  04/07/2008 00:34:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
già che ci stavi potevi farne una recensione :P

commento fantastico!!!