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IL DIVO regia di Paolo Sorrentino

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  06/06/2008 15:27:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un macchiavellico Nosferatu moderno (il modo di indietreggiare del “divo” ha infatti richiamato alla mia mente il vampiro di Murnau): è così che Sorrentino dipinge la figura di Giulio Andreotti, presentandocelo nella sua aura di ambiguità in cui Bene e Male coesistono e si compenetrano a vicenda.
Sono tre, a mio avviso i momenti cruciali del film: l’inizio, in cui si ritrae grottescamente Andreotti con la fronte puntellata di aghi come rimedio alle sue emicranie, le quali possono essere lette come la somatizzazione del profondo conflitto interiore di un uomo costretto ad agire al di fuori dei canoni dell’etica; lo strepitoso faccia a faccia con il giornalista Scalfari, che si conclude con l’inappuntabile chiosa di Andreotti il quale ribatte a tutte le illazioni del suo interlocutore e le ribalta –facendo leva proprio su una considerazione di quest’ultimo- affermando che la realtà delle cose non è semplice e manicheisticamente inquadrabile nei concetti di Bene e Male, perché è talmente sfaccettata e complessa da rendere impossibili giudizi univoci; e infine la chiusa del film, in cui il regista si sofferma sul monologo di Andreotti, che si compendia straordinariamente con l’assioma machiavellico secondo cui “bisogna perpetrare il male per garantire il benessere della società”. Da questo enunciato prende forma il personaggio descritto superbamente da Sorrentino, il quale se da un lato propone una sorta di giustificazione “scientifica” al modo di gestire la Cosa pubblica da parte del maggior esponente della DC, dall’altro, seppur in maniera fantasiosa, rappresenta la realtà dei fatti di quel cruciale decennio politico, senza lesinare sui suoi aspetti più scomodi e scabrosi. Il grande merito del regista è stato quello di riuscire a coniugare un umorismo sopra le righe e quasi surreale, oggettivato da personaggi ai limiti della macchietta (in particolare quello di Cirino Pomicino) e da situazioni grottesche (come il party celebrativo del settimo governo Andreotti e la scena da “ultima cena” che vede riuniti Andreotti, i principali esponenti della sua corrente e il cardinale), ad una inquietante descrizione degli eventi storici che ci mostrano gli intrecci tra Politica, Mafia e Chiesa. In più, Sorrentino ha saputo umanizzare il personaggio del “divo”, tracciandone un profilo privato e psicologico (cosa che non è riuscito a fare il Moretti de “Il Caimano”) che mette a nudo la complessità dello stesso, facendocelo apparire come un uomo integralmente consacrato allo Stato, e per questo impossibilitato ad approfondire e a consolidare i rapporti umani. Nella vita di Andreotti la ragione di Stato è venuta prima di tutto: prima della famiglia, dell’etica, del sentire cristiano e anche dell’amicizia, come dimostra il sacrificio di Aldo Moro, il quale ci viene presentato come la fonte del suo più “lancinante” cruccio.
In ogni caso, al di là di tutte le teorizzazioni che si possono postulare sull’azione dello statista, al di là delle nubi che si addensano sul passato di Andreotti e delle assoluzioni e archiviazioni con cui si sono chiusi i processi e le inchieste che lo hanno riguardato, rimane ferma e pesante come un macigno quella sentenza che penale che lo ha riconosciuto colpevole del reato di associazione per delinquere nei riguardi di cosa nostra fino al 1980, estinto per prescrizione. Nonostante ciò Giulio Andreotti è senatore a vita, e insieme a lui continuano a fare i parlamentari numerosi altri politici pregiudicati. Questà è la politica italiana, il resto sono solo ciarle.
amterme63  08/06/2008 22:34:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bravissimo. Sei uno dei migliori commentatori del sito. I miei complimenti.
ULTRAVIOLENCE78  09/06/2008 17:05:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono lusingato. Grazie mille!