caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

CHE - GUERRIGLIA regia di Steven Soderbergh

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  06/05/2009 19:48:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Attraverso immagini che sembrano uscite (magari un feedback indiretto chissà) dalla Resistenza italiana, "Che-guerrilla" è un film più compatto, lirico e meno schematico del precedente.
Certamente il Che di Sodelbergh è uno sforzo produttivo di notevole portata, così antidiluviano (nonostante la sua lunghezza) antiretorico e formalmente "distaccato". L'impressione netta è che il regista abbia avuto timore del suo personaggio, ma forse è vero il contrario.
Ma per quanto il distacco ideologico e culturale sia forte, una sensazione d'ambiguità aleggia fra le immagini, con quelle cittadine boliviane come set cinematografici (il western per es.), o nei volti anonimi (spersonalizzati) del casting: a volte non sembrano tanto diversi dai marines Usa nel vietnam di tanti film del genere.
Cose già viste, dopotutto? Sì e no (il breve intenso dialogo del Che con un giovane soldato sembra confutare questa ipotesi).
Passo dopo passo il Che di Del Toro (non è più quello di Sodelbergh in questo senso) rafforza l'impressione c.r.i.s.t.o.l.o.g.i.c.a. che avevo avvistato nel film precedente: no more slogan, sembra dirci il regista, quando sembra di assistere a un cenacolo dove qualcuno "tradirà la causa" (o della fine di ogni apoteosi di potere, anche eroica).
Il Che che perde forza, che diventa "uomo" (non più icona) che cede al suo inerme destino prima di collocarsi nell'inevitabile Mito (quello che potrebbe essere un terzo episodio inedito e irrealizzato).
"Credo nell'uomo" sembra dirci davanti ai suoi "discepoli", o al suo Ponzio Pilato, ai contadini che hanno precedentemente assistito ai suoi "miracoli".
Ma per ogni messia immolato resta una storia a giudicarlo.
Forse l'incapacità volontaria di mettersi al servizio del personaggio mi ha reso intransigente (splendida comunque tutta la fotografia, efficacissimo il montaggio, quasi lisergico nella sua disciplina visiva) ma credo proprio che gli ultimi trenta minuti del film siano tra le pagine più alte del cinema di oggi, e forse i momenti più alti della carriera di Sodelbergh.
Con quel rammarico che spegne i nostri entusiasmi (un pò idealisti mitomani ingenuamente "uomini di fede") quando troviamo quest'eroe non esente da fragilità e debolezze: una rivoluzione si paga, sempre