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MIRACOLO A SANT’ANNA regia di Spike Lee

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Bleek     6½ / 10  09/10/2008 16:56:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spike Lee ci ha abituato bene, e forse proprio per questo alla fine della visione della sua ultima opera si rimane un po’delusi.
Miracolo a S.Anna tratto dal romanzo omonimo di James McBride ha sempre il rigore stilistico del regista afro-americano, con i suoi movimenti di macchina, un commento musicale chiaro e conciso e una fotografia molto curata, ma il racconto si accavalla spesso in episodi che creati per enfatizzare maggiormente lo scontro razziale, finiscono per essere ripetitivi.
Il film inizia con un colpo di scena, un omicidio apparentemente incomprensibile di un’anonimo cliente delle poste per mano di un’altrettanto anonimo dipendente delle stesse a cui la poizia rinverà in casa la testa della Primavera una delle statue del ponte distrutto di S. Tinità di Firenze.
Per sciogliere il mistero il regista ci riporta indietro negli anni fino ai tragici fatti dell’agosto 1944, quando i nazisti sterminarono centinaia di civili, a S. Anna di Stazzema.
Qui il film si interroga e ci interroga sul nostro passato che non vuol passare, partigiani e fascisti l’uno contro l’altro per ideali differenti, ma in fondo dentro un ineludibilità della Storia che macina, amicizie e vite.
La scena in cui il partigiano “ La grande farfalla” dice che ha ucciso il suo migliore amico perché stava nelle file fasciste e che anche l’amico avrebbe fatto uguale perché vedeva in lui il partigiano nemico, ci illustra magistralmente gli stati d’animo e quello che realmente successe in quegli anni maledetti.
Se c’era una parte giusta in cui stare, questa non impediva che due amici si scontrassero fino alle estreme conseguenze.
Le polemiche suscitate dal film dimostrano una volta di più, che questa pagina della nostra storia recente non è stata ancora metabolizzata, accecati alla ricerca di un buono e un cattivo non si riesce a vedere quello che realmente è la guerra: uomini soli contro uomini soli.
Viene alla mente la “Guerra di Piero” di De Andrè che poeticamente illustra ciò, e l’ assurdità della guerra.
Spike Lee, furbescamente mette le mani avanti, con una didascalia iniziale che ci rassicura che i fatti narrati pur avendo una base storica si basano su un romanzo, facendo vedere che conosce molto bene la società italiana dove le ferite sono difficili a sanarsi.
Il flaschback, sulla guerra, che occupa la maggior parte del film ci svela piano piano le cause che hanno scatenato l’omicidio iniziale che rimane il pretesto per parlare d’altro.
Certo l’intolleranza razziale dentro e fuori l’esercito americano e il buon rapporto dei militari di colore con i civili italiani, rimane un punto centrale del film, che però viene offuscato dalla tragicità della guerra, come il tradimento del partigiano.
Infine la scena finale con il bambino, trait d’union, fra un prima e un dopo, che incontra l’assasino-superstite, davanti uno splendido mare, ricorda il finale di “Barton Fink” dei Coen, anche lì in fondo una testa seppur umana c’era.