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IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON regia di David Fincher

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6½ / 10  17/03/2009 18:43:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un critico fetente ha scritto - in linea col tema - che il film di Fincher "ti invecchia precocemente" e non ha forse tutti i torti: si passa con disinvoltura dal più smaccato manierismo tecnico/visivo ai topoi più effimeri e scontati del cinema hollywoodiano tradizionale (quelli per cui sembra necessario far scendere lo stupore emotivo della mise in scene, come nei vecchi musical, e tutto fa rima con un "ooooh" ricattatorio).
Ma vi dirò: per giorni interi scrivere un commento su questo film mi ha provocato una vera e propria sofferenza, visto che accanto a picchi alti o altissimi si sconfina nella parodia involontaria.
Inizialmente l'omaggio a Griffith al realismo francese al decadentismo europeo (persino il contemporaneo Fassbinder ovvio) si sentono eccome, echi per cui vorremmo iscrivere Fincher nel novero dei nostri cineasti preferiti del momento.
Ma poi il film ... invecchia precocemente, vero, paradossalmente in antitesi con il ringiovimento tutt'altro che eterno (non come l'Eterna Giovinezza di Coppola) di Benjamin fino a diventare uno stucchevole romanzo harmony che vorrebbe dirci qualcosa dell'orfanismo astratto neanche fosse Tim Burton.
Ma se il manierismo è quello dei primi 40 minuti, ben venga: sembra di rivedere "Il pianista sull'oceano" senza la presunzione visiva di Tornatore, o "I ponti di Madison County", più lo "Zelig" di Allen che "Forrest Gump" (malgrado lo sceneggiatore).

Ma per quanto ambizioso e non del tutto insincero (c'è pur sempre un respiro umanissimo per quanto poco cerebrale) il film è scritto male, allungato e liofilizzato come maldestra Prova definitiva, incapace di mantenere le sue promesse iniziali, un'esercizio di stile che crolla inesorabilmente per la ricchezza di particolari, di banalità, di freddo calcolo emotivo per le masse.
La stessa apologia del tempo ribaltato non regge, diventa artificiosa.
E del secondo tempo, dell'ultima ora di Benjamin, nonostante la nobile referenza letteraria (Fitzgerald) uno dei pochissimi elementi di interesse resta l'uragano che minaccia l'incolumità dei degenti dell'ospedale.

Insomma, non è molto, nonostante il respiro classico della prima parte, permeato di un'aurea decadente quasi poetica (le adorabili vecchiette dell'ospizio davanti al tempo mobile e immutabile, i lupi dei mari di Langhiana memoria). Alla fine l'illusione non dura in eterno: se Benjamin è un freak atto a raccontare l'impotenza della natura del tempo e della longevità anche dal punto di vista etico e religioso, farne una "caricatura" di normalità è davvero un controsenso (o un'aberrazione di pessimo gusto).
Ci pensate? Quasi più rassicurante il vecchio-bambino dei primi fotogrammi del giovanotto aitante e "ripulito" (sgassato) di Brad Pitt.

La favola del parto inatteso il cui "corpo lo abbandona" regge alla perfezione il resto purtroppo no.

Fincher si riconosce ancora, soprattutto quando dirige l'incredibile fisionomia "ovale" di Tilda Swinton (strepitosa!) o quando raccolta un corpo che aderisce alla vita (non il contrario) ma poi è come se sentisse il dovere di sfruttare la bellezza fisica e quel ricorso poetico che si plasma nelle (alcune belle) immagini - dove si sente un forte sentore di falsità e ha il punto più basso proprio nel lungo tete-a-tete tra Benjamin e la donna che ama da sempre (lei che danza al loro primo appuntamento: veramente terribile...voto 2).
Artefatto il (notevole) spunto iniziale ci resta un film parzialmente molto riuscito e altrettanto parzialmente disastroso, che si dipana in raccapriccianti rituali di buonismo affettato (l'incontro col vero padre, per esempio).
E' però - accidenti - un'opera curiosa, forse stimolante nella sua incongruenza, sicuramente più dal punto di vista tecnico, vera chicca per i cinefili del cinema classico, e autentica occasione mancata per altri.
Un cinema di padri assenti sempre o comunque: il bisogno di spettacolarizzare questa mancanza toglie al film tutto il respiro interiore che avrebbe potuto avere
amterme63  17/03/2009 23:12:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eh Luca, come capisco la "sofferenza" nel pensare di scrivere il proprio pensiero su di un opera che assomiglia a uno spreco di arte.
L'arte c'è ed è quel poco che si salva del film. Per il resto hai azzeccato una frase perfetta per questo film: si tratta di "una caricatura di normalità". Invololtariamente Fincher è andato a finire proprio lì, anche senza volerlo. Mille volte meglio "Revolutionary Road" pur nella sua imperfezione stilistica.