ULTRAVIOLENCE78 6½ / 10 07/11/2008 20:14:24 » Rispondi E’ un film che non mi è dispiaciuto: “in primis”, perché tratta senza retorica e autocompiacimento un tema delicato (nel quale si è avventurato innanzitutto l’autore del libro da cui il film è tratto, Gianrico Carofiglio) quale quello dell’ipocrisia borghese, che suddivide semplicisticamente e fallacemente i “buoni” e i “cattivi” sulla base dell’estrazione sociale; “in secundis”, per il ritmo della narrazione, il cui svolgersi sostenuto non fa sentire il “peso” di una pellicola che sfora le due ore. La storia si configura come una sorta di discesa agli inferi (un po’ alla maniera del barese doc Alessandro Piva) in una Bari oscura, fatta di bische clandestine, di malviventi e di personaggi altolocati colti nelle loro insane inclinazioni ai vizi. Di qui il parallelismo tra Giorgio, ragazzo di buona famiglia prossimo alla laurea, e Francesco, una baro di professione proveniente da una situazione familiare disagiata. Il confronto messo in scena da Daniele Vicari è volto a mettere in luce i diversi aspetti che connotano questi due soggetti, tanto diversi nei rispettivi contesti sociali cui fanno capo, ma molto simili nella loro intima attitudine a delinquere ed ingannare il prossimo. Ma mentre Francesco si trova nella condizione quasi obbligata di ricorrere all’illecito per riscattarsi da una precaria e drammatica situazione familiare (la rabbia che egli sfoga sulle ragazze sembra l’espressione di una ribellione ad un sistema sociale di cui è vittima); in Giorgio, invece, la tendenza al male non trova altra giustificazione se non in un gusto fine a se stesso. In questo senso, la differenza sostanziale tra i due ragazzi sembra risiedere nella Fortuna: proprio quella fortuna, che Francesco riesce ad aggirare con i suoi trucchi nelle carte, lo schiaccia nella vita di tutti i giorni, dove egli è consacrato a rimanere sempre un perdente. A tal proposito, si pone come emblematica la sequenza nella quale si vede scorrere Giorgio –scagionato- lungo il corridoio del commissariato, mentre di là dal vetro separatore si scorge Francesco, destinato invece a soccombere alla legge. Così i due protagonisti, entrambi colpevoli -anche se in diversi momenti e luoghi, avranno sorti diverse: ad uno –già provato da una vita di stenti- toccherà la galera; per l’altro, invece, ci sarà la riabilitazione ed un futuro -ironia del caso- da magistrato. Il finale del film, in cui è il regista si sofferma sul volto perplesso e disorientato di Giorgio a seguito dei ringraziamenti della ragazza scampata allo stupro, si pone come il punto di approdo di un viaggio in cui si è concretato il progressivo disfacimento della sua identità. Il film, data la materia ricca di buoni spunti e riflessioni, poteva senz’altro essere sviluppato meglio. Molte le forzature e le approssimazioni, soprattutto in alcuni personaggi che risultano soltanto abbozzati –dato che parliamo di Vicari e non di Gus Van Sant: per esempio tanto il rapporto di Giorgio con la sorella, che fa un’apparizione inutile e fugace verso la fine, quanto quello con i suoi genitori potevano essere approfonditi maggiormente. Anche sotto il profilo formale, sono presenti lungaggini che potevano essere omesse, e che danno l’impressione che il regista se ne sia servito per allungare il cosiddetto brodo. Quanto alle interpretazioni recitative, tralasciando quelle trascurabili di tutti gli altri personaggi che sono solo di contorno, l’esordiente Michele Riondino se la cava egregiamente, mentre mi è parso un po’ sotto tono il –pur sempre- talentoso Elio Germano. In defintiva, si tratta di una pellicola decisamente apprezzabile, soprattutto perché sostenuta da un soggetto valido; ma, alla fine della visione, mi ha lasciato un senso di incompiutezza nonché di sciatteria.
anthony 07/11/2008 21:24:43 » Rispondi D.io che commento! Troppo bellissimo!
ziotom77 08/11/2008 19:38:09 » Rispondi bè co sto nick che te ritrovi è normale che sto film è sciatto... forse solo con arancia meccanica la tua mente avrà goduto:))) anche se c'è più violenza "visiva" in questo film che non in quello del grande Kubrick