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L'ULTIMO BACIO regia di Gabriele Muccino

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kafka62     6½ / 10  16/05/2018 10:50:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se il matrimonio e l'imminente paternità ti sembrano una gabbia e i viaggi con gli amici alla Salvatores sono solo una patetica fuga dalle responsabilità della vita, allora vuol dire che hai 30 anni. Questo almeno è quello che trapela da "L'ultimo bacio", una ricognizione disillusa e amara sulla generazione precedente a quella dei liceali di "Come te nessuno mai". E dieci anni, a quanto pare, non sono pochi, a giudicare dalle sbandate, dalle vigliaccherie e dalle falsità di questi ex adolescenti che, appena affacciatisi alla vita adulta, hanno già visto infrangersi irrimediabilmente i sogni di purezza e di amore eterno che ancora caratterizzavano i loro fratelli minori. E nemmeno c'è da farsi molte illusioni sulla cosiddetta maturità, perché i genitori di entrambi i film (là De Filippo e la Galiena, qui Diberti e la Sandrelli) vivono crisi fors'anche peggiori di quelle dei loro figli, per giunta con la terribile prospettiva che il tempo massimo per loro è ormai scaduto. Forse un po' di speranza non guasterebbe a questo film di Muccino (giacché di speranza non si può parlare per il falso happy end normalizzatore); servirebbe per lo meno a sollevarlo dalla possibile e fondata accusa di voler troppo generalizzare e semplificare. Far finta che tutte le coppie soffrono del complesso di Peter Pan è fare della cattiva sociologia, così come lo è credere che a cinquant'anni, senza più la passione degli inizi e per di più con la prospettiva di diventare nonni, il mondo crolli addosso.
"L'ultimo bacio" soffre di una certa artificiosità esistenziale, ma questo paradossalmente contrasta con l'estrema naturalezza e veridicità di ambienti, linguaggio e situazioni. Eh sì, perché detto dei difetti, non va taciuto che Muccino è un regista col senso del cinema cucito addosso. Il crescendo drammatico della storia, ottenuto attraverso il montaggio parallelo di tante storie, è davvero pregevole, e denota un controllo della materia narrativa raro nel cinema italiano. Il pathos di certe scene raggiunge poi livelli intensissimi. Essere sopravvissuto a un affresco generazionale così ambizioso senza inciampare negli stereotipi e nei didascalismi (un luogo comune, "La normalità è l'unica vera rivoluzione", viene subito neutralizzato ed eliso da un altro luogo comune di segno contrario, "La fedeltà è l'unica vera utopia"), è già un grande successo.