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SYNECDOCHE, NEW YORK regia di Charlie Kaufman

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Jolly Roger     9 / 10  28/05/2016 22:09:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi

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Il film inizia con il tempo che scorre e questo scorrere inesorabile scandisce tutto il film.

La clessidra si rovescia.
"L'infanzia finisce quando scopri che un giorno morirai", dicevano in un film che noi della nostra generazione abbiamo molto amato.
L'infanzia di noi, oggi, finisce molto tardi rispetto ai nostri antenati. Per certi versi si prolunga fin dopo ai trent'anni e magari fino ai cinquanta. Poi, all'improvviso, Caden Cotard si rende conto che qualcosa nel suo fisico funziona in modo strano, non più come prima….
inizia così a controllare le proprie feci, a fare esami, ad avere paura.
Inizia a capire che un giorno morirà.
In Synecdoche, New York c'è dentro un uomo nell'interezza della propria vita, la sua passione, le sue paranoie, i dubbi, le paure, le mortificazioni, le brame. Un uomo solo che finisce per rappresentare OGNI uomo, data la sublime sensibilità della sua anima che, apparentemente immobile come un camaleonte, coglie sulla lingua ogni più minuscola particella di tutte le emozioni, analizzandole, vivisezionandole, ragionandole e rielaborandole al fine di sublimarle in un'opera teatrale che sia di beneficio a tutta l'umanità, ma prima di tutto a lui stesso e alla sua umana brama di immortalità. La moderna complessità di quest'uomo è come un gigantesco vaso di caramelle dove ogni bambino può sperare di trovare quella del proprio gusto preferito.
Un uomo strutturato ma profondamente diviso, eternamente combattuto tra l'abbandonarsi ad una passione che brucia sempre e senza motivo ed il trattenersi tra le sbarre del passato o delle proprie convinzioni morali. Caden è il doppio di ogni uomo, ma è sempre spaccato a metà. Ha coraggio, ma non ha abbastanza coraggio. Non ha il coraggio, ad esempio, di abitare in una casa dove vive il perenne incendio (?!) della passione amorosa, ma nemmeno riesce a sopportare la freddezza della propria solitudine e il disgregarsi della propria famiglia. Vuole scaldarsi di quel fuoco, ma non fino al punto di morirci dentro, come invece riesce a fare Lei.
E noi ci rispecchiamo in lui, questo modernissimo Zeno Cosini, ci immergiamo nella psicopatia con la quale deforma le persone da cui non si sente amato, nella sua mancanza di certezze assolute e nel suo continuo desiderio di trovare queste certezze, la sua omosessualità latente, i torti da lui subiti e gli autoinganni con i quali egli ha nascosto a sé stesso le sue responsabilità ed il fatto che quei torti forse non li ha solo subiti, ma anche compiuti. E ancora, le paure di avere malattie, le nevrosi, l'inazione. E le donne, quelle che gli fanno annusare il proprio profumo, ma che lui non corteggia, così sbiancando le pagine del libro di una possibile storia d'amore.

Ma la clessidra cammina, inesorabilmente.
E se prima potevamo trovare parte di noi in Caden, con l'avanzare tempo sarà Caden ad incorporare gli altri, sublimandoli attraverso la rappresentazione teatrale. Assorbirà le persone che lo circondano, assorbirà sé stesso, assorbirà persino tutti i sé-stesso che avrebbero potuto essere ma che non sono stati. Sì perché se la morte ci rende tutti uguali, tuttavia ci pensa già prima la vecchiaia a renderci tutti quanti simili. Simili agli altri ma anche simili agli altri "noi stessi". Quando arriva, poco importa quel che hai fatto o meno, perché dentro di te puoi sentire e ripercorrere sia la strada che hai percorso, sia quelle che avresti potuto percorrere ma non l'hai fatto…perché, comunque, ti avrebbero portato sempre lì, ti avrebbero portato tutte nello stesso posto. Persino il tuo te-stesso che si è suicidato…poco, ormai, ti divide da lui, perché una volta che sarai morto, gli anni che hai vissuto in più rispetto a quel te-stesso non conteranno comunque nulla per te.
Tutte le strade portano nello stesso posto, dal quale puoi muoverti, sì, arrivando il minuto dopo in un altro posto, ma muovendoti ormai senza più un perché, senza più una brama, senza più alcun futuro da costruire.
Muovendoti per inerzia.
E allora ti butti nella rappresentazione. Rappresenti a te stesso e agli altri l'opera teatrale della tua vita, scegliendo le scene più belle.
Ripeti, nella tua mente, il ricordo della volta in cui hai amato la tua metà. Decidi di rappresentare quella scena, quel ricordo, in continuazione, per riviverlo.
Questo film mi ha ricordato un corto bellissimo, La Maison en Petits Cubes, quell'ultimo brindisi del vecchio protagonista su una tavola apparecchiata per due, ma occupata, ormai, solo da lui. Ci sono momenti, nella vita, che ti accompagnano per sempre come se fossero avvenuti ieri. Momenti speciali. E' incredibile pensare che l'intera vita di una persona potrebbe essere rappresentata in una clip di un minuto, con un piccolissimo numero di momenti speciali che l'hanno caratterizzata.

Ma la clessidra continua ad andare avanti.
Il teatro della propria vita diventa immenso (a tal proposito, fantastica trovata il passaggio nel teatro di addirittura un aereo in volo!), perché in fondo la propria vita è stata lunga, immensa. Ma è tanto immensa quanto ormai desolata. Non c'è praticamente più nessuno. Nessuno più a chiederti quando si andrà in scena. Nessuno ad aspettare le tue direttive.
Nessuno più a chiederti niente.
Tutti andati chissà dove, forse morti, non importa nemmeno saperlo. Tanto nel cuore nessuna croce manca. E' il cuore il paese più straziato.

Non c'è più polvere nella clessidra.
Siamo arrivati.
Lì con noi ormai c'è solo un'altra persona.
Non è fisicamente lì, ma noi la vediamo.
E moriamo in lei, come in lei un giorno nascemmo.