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SYNECDOCHE, NEW YORK regia di Charlie Kaufman

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Terry Malloy     9 / 10  27/01/2017 15:05:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un mio amico nato per il teatro (cioè una persona che non fa teatro per smorzare l'assuefazione all'idea di una vita strutturata, come dice Montanini per le cover band) una volta mi disse che Shakespeare è un vecchio cadavere putrescente di seicento anni fa e che per lui il monologo più famoso della storia della letteratura, to be or not to be, è qualcosa di interiore, una via automatica del pensiero, qualcosa di sostanzialmente impronunciabile, quindi ormai non più rappresentabile.
C'è un'idea simile alla base di quel momento formidabile in cui Elizabeth Marvel (l'attrice recita in un cammeo) mostra a Caden un impressionante teatro (per le sue dimensioni, quanto inutilizzabile. Proprio come la mente). Alla domanda di Caden su a cosa fosse precedentemente adibito, l'agente risponde solo: "For Shakespeare" (sic). Linda Hutcheon sostiene che adattare le opere altrui, in un'epoca intermediale e intertestuale, è un'operazione inevitabile e ossessiva. Siamo nell'era del post, del dopo la modernità, epoca in cui ancora tutto era da "dire" visto che le novità dell'esistenza (mediate dalla scienza e dalla tecnica) erano troppe e troppo rapide. Esaurito il dire, si ritorna alla mediazione regressiva ad infinitum di tutto ciò che è stato detto prima. Ma alla base dell'idea geniale di Kaufman sta una regressio che va oltre la semplice biblioteca borgesiana del mondo: c'è l'idea che la mente sia in sé un copione che noi riadattiamo continuamente, nel difficile equilibrio (rappresentabile solo dal teatro, non più forma espressiva a sé, ma forma colonizzata da altre forme tecnologiche) tra arte e vita, ossessione otto-novecentesca.
C'è una storia della nostra vita che abbiamo in testa da quando nasciamo a quando moriamo. Tutta la vita elaboriamo questo romanzo interiore a cui noi possiamo attingere diluendo il suo imponente significato in forme metaforiche, in vite altrui, narcisisticamente specchio della nostra. Caden va oltre, ma questa è una finzione come le altre. E' solo un film, ma anche un terminal, un labirinto, un'intossicazione, un lugubre appartamento abitato solo da una voce.