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SYNECDOCHE, NEW YORK regia di Charlie Kaufman

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     6 / 10  22/01/2015 17:21:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Esordio alla regia di Charlie Kaufman (sceneggiatore premio Oscar per Se mi lasci ti cancello), "Synecdoche, New York" (già il titolo, un gioco di parole tra la cittadina di Schenectady, in cui si svolge la vicenda e la figura retorica sineddoche, è l'espressione di una forma mentis iperattiva e costantemente pensante) è una casa che va perennemente a fuoco, un necrologio che ha continuamente bisogno di essere alimentato e rinnovato.

A volte pare di assistere al medesimo corteggiamento alla morte che fu di Bob Fosse in "All that Jazz". Per l'appunto anche in questo caso siamo di fronte all'autunno della vita.

Philip Seymour Hoffman/Caden Cotard (alter ego del regista e figlio del Joe Gideon circondato dalle donne) anela a un Teatro Mondo (un palco magniloquente dove giocare con gli specchi, un'enorme ribalta che sta a metà tra le mura trasparenti dogvilliane e la soap documentaristica à la Truman Show, dove la fine di ogni protagonista, doppio di un altro doppio, è scolpita nel principio). Il tentativo di Caden è quello di mettere in scena questa improbabile arena, di edificarla, modificarla, plasmarla come vuole lui, ma al tempo stesso ne viene risucchiato in una sorta di vortice, di spirale incantata, che tutto avvolge e coinvolge: l'amore per l'arte, l'arte della morte, la morte per amore.

Il processo di scrittura scelto da Kaufman è lungo e articolato, imbevuto da continui corto circuiti di senso. La ricerca apparente di una brutale verità, si sconfessa non appena il Teatro si con-fonde col Mondo in un processo kafkiano irreversibile, verso il Destino e oltre. E comincia così a recitare la recitazione, a far scontrare l'atteggiamento con la parola, la spontaneità con la bugia. Il film in questa fase si fa via via più astratto e impalpabile, quasi sfuggendo ai sensi di chi vi assiste.

Masturbatoria fino al limite della sopportazione, la pellicola rimane un'opera affascinante e respingente, nostalgica fino allo sfinimento, dove si intersecano i significati di Confusione, Tormento, Disperazione, Solitudine, Malattia e Incoerenza.
Dove si strappano metaforicamente le viscere, si percorrono corridoi angusti che si nutrono di visioni, si assiste alla dicotomia uomo-donna e donna-uomo, a un fluire oceanico di immagini, suoni, colori e dolori.

Alla fine, non resta più nessuno a far muovere l'ascensore. Forse nemmeno Kaufman.