jack_torrence 7 / 10 25/01/2011 15:27:24 » Rispondi "Revolutionary road" di Richard Yates è uno dei manifesti letterari del secondo novecento americano. La sua attualità è indiscutibile, quanto forse la sua universalità. Questo film ne è una pregevole e onesta trasposizione. Il rispetto dell'ambientazione negli anni '50-'60 rafforza la sensazione che la sua vicenda sia attuale e universale, dal momento che la possibilità di riconoscerci in questi caratteri non risulta minimamente intaccata dallo scarto temporale.
Per il resto, i significati della pellicola sono quelli del romanzo (che, quanto a "valore", come opera resta sicuramente più importante del film, nel suo campo). Come ne "la dolce vita", qui si parla di chimere e di realtà, e dello scarto fra le illusioni in cui si ripongono speranze del tutto slacciate dalla concretezza e dalle responsabilità della vita quotidiana. E se la donna inquieta e nevrotica è sintomo di un cambiamento epocale che sta per maturare nel rapporto fra i sessi, l'uomo è intriso di ipocrisia. Prima del finale, Di Caprio non vuole fronteggiare la realtà, e la sua ottusità è co-responsabile della tragedia imminente. Possiamo rimproverare a questa donna una dissociazione irresponsabile rispetto alla vita quotidiana; ma più grave è la colpa di quest'uomo che prima l'asseconda senza capirla nel profondo, e poi vorrebbe imporle la geometria impossibile di una mediocre razionalità.
Ma in fondo non ci sono colpevoli se guardiamo a questa vicenda come alla rappresentazione tragica dell'eterno scompenso tra i sogni e la realtà, fissi al motto dantesco "fatti non foste a viver come bruti". Passando per la visione dantesca di Ulisse, "Revolutionary road" è la versione contemporanea del peccato originale: il ritratto di quella peculiare "condizione umana" in cui, insoddisfatti dei nostri limiti, vorremmo trascenderli e siamo puniti per questo impulso di superbia.