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L'UOMO CHE NON C'ERA regia di Joel Coen, Ethan Coen

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ULTRAVIOLENCE78     9 / 10  04/03/2009 20:14:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quanto di Edgar G. Ulmer c’è in questo lavoro dei fratelli Coen? Probabilmente molto, moltissimo. E non solo nell’espediente narrativo di far raccontare la vicenda allo stesso protagonista, che si trova quindi nel medesimo tempo dentro l’azione, ma anche fuori da essa quale voce fuori campo; non solo nella scelta stilistica del Bianco e Nero –peraltro resi superlativamente; ma anche, e soprattutto, nell’idea, su cui poggia tutta la storia, di mettere in scena il soggetto in tutta la sua impotenza: un soggetto la cui volontà è completamente neutralizzata da un Destino beffardo, che si concreta in un imprevedibile e incontrollabile corso degli eventi, ove ogni scelta dà luogo a conseguenze del tutto divergenti dalle proprie interne prefigurazioni. Così come l’Albert di “Detour” si troverà a perdere la sua identità ed a vivere la vita di un'altra persona, anche Ed Crane giungerà amaramente a prendere coscienza della sua sconfitta: egli si sentirà come un’ombra tra la gente; come un individuo che non è mai stato, perché non gli è stato consentito di determinarsi e determinare la sua esistenza. Ma l’apetto di “The man who wasn’t there” che più lascia sgomenti, e che i Coen mettono in risalto lucidamente, riguarda la possibilità di procurare dolore ad altri senza volerlo. In questo (non)senso Ed Crane si troverà ad essere involontariamente la causa di una sequela di sciagure che, prima ancora di riguardare lui stesso, toccheranno terze persone: sciagure si abbatteranno su queste ultime fino al punto di annientarle.
Il finale in cui si riprende il protagonista della storia, al culmine della sua pseudo-apatia (emblema di una irrimediabile impotenza), subire passivamente l’esecuzione sembra assurgere a paradigma del fallimento del soggetto, che presume di poter indirizzare a sua discrezione il corso della propria vita: dacchè Crane decide di porre in essere azioni dirette a dare una svolta alla propria esistenza, egli non farà che sperimentare l’impossibilità di attuarle nonché le infauste conseguenze che il suo ardire ha sortito. E la sofferenza, che sprigiona il suo atteggiamento esternamente abulico, è più lancinante di qualsiasi dolore espresso con lagrime e grida.