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CHE HO FATTO IO PER MERITARE QUESTO? regia di Pedro Almodovar

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amterme63     7 / 10  07/03/2008 23:02:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I film di Almodovar lasciano il segno anche se rivisti dopo tanti anni. Certo non hanno più l’effetto dirompente, scandaloso o provocatorio che avevano negli anni ’80 (questo a causa del recente dilagare della cultura trash). Restano però dei piccoli gioielli di arte cinematografica e stilistica. Riescono ancora a far ridere, a divertire, a fare pensare e addirittura a commuovere e a toccare l’animo. Non è poco.
La grande dote di Almodovar è l’arte della “variazione”. Van Beethoven e Bach erano maestri nel prendere un singolo tema musicale e crearci infinite varianti, una più bella e affascinante dell’altra. Tutto questo girando intorno allo stesso tema. Così Almodovar ripete sempre i suoi temi più cari, ma ogni volta cambia ambiente, tono, atmosfera, insomma riesce sempre a creare qualcosa che colpisce e lascia il segno, pur “ripetendosi”. I difetti ovviamente non mancano neanche a lui. Spesso è sovrabbondante e bulimico, tende ad affastellare scene su scene perdendo a volte il filo e divagando un po’ troppo. In questo film ci sono momenti di stanca e purtroppo ho dovuto reprimere ogni tanto qualche sbadiglio.
Questo è uno dei primi film di Almodovar ma contiene già alcuni temi degli ultimi suoi film. Dei primi film ha l’intento ultra-dissacratore e provocatorio, con lo scopo di togliere ogni mistificazione ai ruoli sociali, per educare la gente a vederli “controluce”, senza dare niente per scontato. La tattica dell’assurdo riesce a far “digerire” anche le cose più turpi e scandalose. Si tratta di una bella cura contro l’ipocrisia. L’istituto familiare tradizionale esce a pezzi, i sentimentalismi sono aboliti, i ruoli seri ridicolizzati (il maschio padrone, il poliziotto), si satireggia la “cultura” (gli scrittori e la tv caduti in basso), la realtà prorompe con i suoi aspetti più prosaici e ordinari (il degrado delle periferie, il vomito, le banalità quotidiane).
Questo uso stilistico in Almodovar non è fine a sé stesso (come in Pulp Fiction). Non c’è il vuoto assoluto, anzi. Da dove meno te lo aspetti (dalla *******, dal drogato, dagli emarginati e dai reietti) vedi spuntare la solidarietà, l’umanità, la gioia di vivere con le piccole cose. Ed ecco apparire i grandi temi etici dell’ultimo Almodovar: il valore delle proprie radici (il luogo natio, il genitore), il punto fermo rappresentato dagli amici e la voglia di andare avanti e di ricominciare, affrontando anche il dolore. L’ultima scena del film è splendida e lascia dentro un po’ di speranza e di carica affettiva, dopo tante visioni “distruttive”.
Almodovar decisamente non è un cantore dell’amore sentimentale. Nei suoi film non c’è coppia che resista. Per lui l’amore è una specie di demone che brucia e poi passa. Il partner ormai inutile diventa un peso da cui liberarsi con le buone e perché no, anche con le cattive. In modo provocatorio e comico si tratta di raccomandare a quelli che si legano di conservare comunque la propria libertà per evitare conseguenze spiacevoli, che possono venire da dove meno uno se lo aspetta, magari da un osso di prosciutto …