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MARNIE regia di Alfred Hitchcock

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atticus     9½ / 10  08/10/2012 22:24:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Truffaut, nell'indimenticabile "Il cinema secondo Hitchcock", inserisce "Marnie" nella categoria dei "grandi film malati", ossia quei film diretti da registi che sovente hanno dimostrato di poter raggiungere la perfezione e che, per eccesso di sincerità, incappano in qualche caso in risultati dove la vera ragion d'essere risiede nei difetti, e proprio per questo si fanno apprezzare più dagli ammiratori e meno dal grande pubblico. Un certo grado di cinefilia porta talvolta a preferire nell'opera di un regista il suo "grande film malato" al capolavoro incontestato. Esattamente quel che penso io per "Marnie".
Hitchcock e il feticismo, Hitchcock e la sessualità repressa, Hitchcock e la psicanalisi, Hitchcock e il melodramma a tinte forti: questo e molto altro è "Marnie", uno dei film più criticati e commercialmente fallimentari del grande maestro, per la prima volta alle prese con una storia realmente scabrosa e per certi versi estremamente morbosa e disturbante, animata da personaggi borderline travolti da un passionale vortice di intime ossessioni.
Non era (e non è) da tutti i giorni assistere a un racconto che contempla al suo interno una fissazione feticista di un uomo socialmente in vista per una ladra affetta da turbe psichiche e con più di un complesso rimasto in sospeso, men che meno ci si sarebbe potuti attendere nel 1964 la rappresentazione di un viaggio di nozze con annessa violenza sessuale del marito sulla moglie frigida e spaventata dal maschio. Tutto ciò portò sullo schermo Hitchcock, con l'eleganza e l'estro senza rivali che gli competevano, per dar vita a un travolgente melò dell'anima che culmina in un finale sconvolgente.
Le debolezze sono ben visibili (come nel vecchio "Io ti salverò", si arriva alle conclusioni psicanalitiche nei modi più spiccioli, alcuni dialoghi non nascondono una forzata didascalicità) ma quelle che un tempo vennero additate come le cause principali del fallimento del film (i fondali "troppo" finti e la recitazione compassata) oggi sono elementi perturbanti insostituibili.
Nonostante il ruolo di Marnie sia tra le cose più complesse all'interno della filmografia hitchcockiana, l'interpretazione di Tippi Hedren merita profonda ammirazione e rispetto: pur non riuscendo a intercettare ogni sfumatura del personaggio, l'attrice incarnò un'ideale di donna elegante e misteriosa, magnifica e sofferente tale da non far affatto rimpiangere la prima scelta del regista (Grace Kelly, già di Monaco), indimenticabile nella sua prima inquadratura in volto, dopo essersi lavata i capelli dalla tinta nera, e assolutamente straordinaria nella sequenza della rivelazione finale (d'obbligo la visione in lingua originale); da non dimenticare, inoltre, le continue angherie che la Hedren dovette patire sul set proprio da parte del suo regista/pigmalione, innamoratosi di lei e giunto al punto di controllarne ogni più intimo anfratto di vita privata, fino al definitivo deragliamento professionale.
Sean Connery, fresco James Bond, scandalizzò i fan con la sgradevolezza di un personaggio dagli istinti bestiali (complice anche l'esplosiva virilità dell'attore) che trova una possibilità di catarsi nella ricerca della salvezza della sua amata; Hitchcock avrebbe gradito un'attore dai modi più charmant (Cary Grant o Laurence Olivier) per rendere l'ossessione feticista ancor più ambigua e spaventosa.
Ovvie lodi, come di consueto, a una delle colonne sonore più ammalianti della storia del cinema, firmata Bernard Herrmann in totale stato di grazia.
Per me, un capolavoro estasiante, da vedere e rivedere.