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WITNESS - IL TESTIMONE regia di Peter Weir

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kafka62     7 / 10  26/04/2018 13:52:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Peter Weir è sempre stato irresistibilmente attratto da tutto ciò che, rispetto alla civiltà moderna e occidentale, si pone in una posizione di indecifrabile alterità, di ancestrale diversità, di anacronistica irriducibilità (la natura "magica" e impenetrabile di "Picnic ad Hanging Rock", gli aborigeni tribali de "L'ultima onda", gli indios della Costa delle Zanzare di "Mosquito Coast"). Anche in "Witness" il regista australiano si lascia sedurre dal fascino dell'"altro", del "diverso", andando a scovare, nel cuore della futuristica America, un incredibile pezzo di Ottocento, rappresentato da una comunità religiosa, gli Amish, la quale vive tutt'oggi in totale spregio di quanto (dall'automobile al telefono) è ormai entrato a far parte degli irrinunciabili bisogni della società contemporanea dei consumi. L'approccio a questa forma di civiltà è però, più che etnografico o antropologico, essenzialmente effettistico, mira cioè a mettere superficialmente in risalto l'incongruenza (dalle implicazioni cinematografiche facilmente immaginabili) tra lo stile di vita amish e l'odiato/amato american way of life (emblematica è la scena in cui, lungo una trafficata strada urbana, la piccola carrozza condotta da un cavallo è seguita a pochi metri da un lunghissimo e mastodontico autocarro). La colonia degli Amish è vista quindi principalmente come un bizzarro paradosso nell'America supertecnologizzata dei computer e dei viaggi spaziali, e purtroppo gli sforzi del regista di non darne una visione folcloristica e cartolinesca non riescono a impedire che tale paradosso venga rovesciato in una comoda utopia dalle implicazioni altrettanto stereotipate (e dal sapore un po' retrò). Lo "scandalo" che traspariva dai primi film (i quali nascondevano tra le righe una durissima requisitoria contro la civiltà contemporanea) appare qui parecchio annacquato: si avverte in "Witness" la preoccupazione tipicamente hollywoodiana di non scontentare nessuno, di sfumare i toni polemici, di mettere una programmatica gradevolezza al di sopra di ogni cosa (in questo senso, la circostanza che i colpevoli dell'omicidio siano dei poliziotti non presuppone un discorso critico sulla criminalità che si annida all'interno delle istituzioni, ma è un semplice escamotage di sceneggiatura per rendere credibile il fatto che sono gli assassini a dar la caccia al difensore della legge, e non viceversa). L'intrusione dello yankee nella comunità amish genera sì scompiglio, gelosie e pettegolezzi, ma Weir è attentissimo a non turbare mai l'atmosfera idilliaca che vi si respira (e che ha il suo apice nella sequenza della costruzione del fienile), vuoi attraverso l'astuta esaltazione delle regole della fratellanza, della sobrietà dei costumi e del lavoro collettivo, vuoi per mezzo di una tipizzazione dei personaggi, i quali, con la sola eccezione di Rachel, rappresentano nulla più di quanto è lecito attendersi da un mormone o da un quacchero, così come la letteratura tradizionale ce li ha tramandati. Anche Rachel, innamoratasi "scandalosamente" del forestiero John, viene del resto riassorbita nella comunità, giusto in tempo per sancire, in un finale fintamente triste e didascalico (di fronte al quale avrei preferito persino un happy end sfacciatamente melodrammatico, con la ragazza che ripudia la sua gente per vivere il grande amore della sua vita), l'inconciliabile differenza tra i due mondi, intrisa però di tolleranza e di rispetto per gli altri.
Alla luce di quanto ho appena detto, forse la parte migliore del film risulta proprio quella "poliziesca", costruita con un'abilità narrativa sopraffina e memore della lezione stilistica dei maestri del passato. L'omicidio nei bagni della stazione ferroviaria, con il bambino amish che assiste non visto alla scena e poi sfugge miracolosamente alla cattura durante la perlustrazione del locale, è un vero capolavoro di suspense, mentre la resa dei conti finale è strutturata con la icastica classicità di "Mezzogiorno di fuoco" (ma la morte del primo uomo nel granaio è anche un'esplicita citazione de "Il vampiro" dreyeriano). Non mancano poi le atmosfere tipiche di Weir (quando il bambino scopre casualmente l'identità dell'assassino, la musica ovattata che cancella i rumori di fondo e i movimenti al ralenti di John che si avvicina sottolineano la solennità del momento, analogamente a molte scene di "Picnic ad Hanging Rock" o allo sbarco notturno de "Gli anni spezzati" o al suicidio dello studente de "L'attimo fuggente"). Ma, nonostante l'indubbia perizia tecnica in esso dispiegata, "Witness" è un film che, dispiace dirlo, non soddisfa completamente ("Picnic ad Hanging Rock" era davvero un'altra cosa, e per convincersene basterebbe confrontare la mitica musica di Smeaton con la ridondante e pretenziosa colonna sonora di Maurice Jarre): Peter Weir ha purtroppo (come tanti, troppi altri registi) definitivamente abdicato ai vertici più alti della sua originale ispirazione artistica con la stessa irrevocabilità con cui è stato assoldato nelle schiere della onnipotente (e omologante) industria hollywoodiana, trasformandosi in un esperto e affidabilissimo confezionatore di raffinati film da Oscar con il marchio d'autore.