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LA TERRA TREMA regia di Luchino Visconti

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jack_torrence     10 / 10  16/02/2011 18:43:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Qui il neorealismo raggiunge il suo apice, forse ancor più che nella trilogia di Rossellini ("Roma città aperta", "Paisà" e "Germania anno zero").
Affidato interamente a non-professionisti locali, il film è una sfida epocale, che deve moltissimo ai film "documentari" di Flaherty ("L'uomo di Aran", 1934), ma che lascerà in eredità al cinema un modo completamente nuovo di rappresentare opere di fiction "sperimentali" (nel senso del girare fuori dagli studi) ma al contempo lineari, contemplative, realiste (a differenza, per esempio, degli esperimenti Dziga Vertov, "L'uomo con la macchina da presa", 1929).
L'importanza di questo capolavoro del cinema italiano (e non solo) è impossibile da sottovalutare.
Probabilmente è il più alto risultato artistico di Visconti.

Film completato nonostante enormi traversie produttive, nell'immediato dopoguerra (con capitali del PCI; il film è evidentemente schierato, in un momento storico turbolento, girato e completato prima ancora del referendum del 1948!), avrebbe dovuto costituire il primo episodio di una ideale trilogia (questo infatti è l' "episodio del mare").

Interessante anche per il rapporto tra verismo e neorealismo ("La terra trema" è il film "neo"-realista che direttamente si confronta con un'opera "realista", "I Malavoglia" di Verga). La vicenda è aggiornata al presente: questa scelta, che è di denuncia sociale (staticità anziché progresso), al contempo universalizza la vicenda ottocentesca (poiché la decontestualizza storicamente).
amterme63  17/02/2011 22:53:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Soprattutto contiene una frase di sconcertante e terrificante attualità:
"All'ingiustizia ci si fa l'abitudine".
jack_torrence  18/02/2011 00:17:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ah! Non me lo ricordavo.

Io all'ingiustizia non mi abituo. Mai.
(Naturalmente parlando nella prospettiva di chi la subisce. Presuntuosa sarebbe la pretesa di non commetterne, di ingiustizie, purtroppo).

Guarda sono talmente schifato (perché nella fettina di Storia cui ho assistito nei miei anni non ho visto che peggiorare le cose anno dopo anno) che semmai mi fa paura - per quanto mi riguarda - l'opposto, ossia "se guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarderà dentro di te". A volte mi sorprendo a pensare che non c'è limite alla comprensione dell'orrore, e mi riferisco all'iniquità, all'ingiustizia, dietro l'apparenza e la superficie di ciò che mi guardo attorno. In sempre meno rari momenti di intransigenza, percepisco che tutto è storto alla radice, socio-economicamente e politicamente.
Ma forse esagero, perché senza la speranza non si è mai costruito nessun futuro. E' vero, però non posso negare che riesco a vedere la luce solo nelle cose dello spirito, delle arti, del pensiero, oltre naturalmente alla Natura.
Credo che il male dei nostri tempi non sia il peggio che stiamo attraversando (c'è stato di molto peggio nei secoli), quanto il non renderci conto che così non va assolutamente bene come sembriamo illusi dalle sirene di quel benessere che ci ha stordito, nel quale siamo nati, ma che non durerà troppo a lungo con il sistema economico mondiale che si è consolidato. Temo che il benessere della società dei consumi della seconda metà del XX secolo tornerà ad essere privilegio per molto pochi, e che si riveli alla fine, nell'ampio arco della Storia, come un fuoco di paglia che ci ha abbagliato solo perché le nostre generazioni ci sono nate dentro.

(mazza che sfogo... scusami per questo, che oltretutto solleva tutti i massimi sistemi con un generalismo da quattro soldi) E' che sono
MMMMMOLTO INCA22ATO!!!!


Ciao, Luca!
amterme63  18/02/2011 23:52:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ti comprendo perfettamente, Stefano. Sai quante volte mi prende il magone nel vedere come siamo ridotti spiritualmente, il degrado del mondo in cui viviamo. In passato le condizioni materiali e spirituali di vita erano forse peggiori di ora, solo che c'era gente che riusciva ad illudersi, a credere in qualcosa, a fabbricare speranze, a diffonderle. C'erano comunità solidali che lasciavano qualcosa in più alle generazioni che seguivano. E' questo quello che ci (mi) manca oggi: un sogno, un progetto, qualcosa in cui credere e lottare da lasciare a chi viene dopo. Una prospettiva del genere non riesce ad attecchire (nel mondo occidentale), non coinvolge masse di persone. Rimangono poche (o tante?) persone singole e isolate. E' forse questa l'unica speranza: che ci siano tante persone come me, come te, che non si conoscono, non sono legate/affratellate ma che potrebbero un giorno unirsi e creare un'identità collettiva, incidere in qualche maniera. In altre parti del mondo in questo momento lo stanno facendo e rimango ammirato e allibito dal coraggio, dalla forza di andare quasi allo sbaraglio di fronte a forze molto più forti, molto più distruttrici di loro.
Saremmo capaci noi di scendere in piazza e sfidare le pallottole come fanno loro?
jack_torrence  21/02/2011 03:06:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Caro Luca, al tuo ultimo interrogativo propongo una risposta molto brutale, forse grezza ma che mi sembra plausibile: Quando saremo ridotti alla fame in maggioranza, sì. Occorre un disagio materiale, condiviso, molto forte, a fare da legame.