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LA DOLCE VITA regia di Federico Fellini

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jack_torrence     10 / 10  14/01/2011 22:00:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"La dolce vita" sta a "Otto e mezzo" come, poniamo, una "Comedie humaine" di Balzac sta a "La recherche" di Proust.

"La dolce vita" è già destrutturato narrativamente, rispetto ai canoni cinematografici convenzionali, ma mantiene una progressione cronologica lineare, e procede per giustapposizione di quadri, di sequenze autonome, che nel loro insieme dipingono un superbo affresco corale attraverso il quale ci muoviamo seguendo la figura di Marcello.

Si parlò tanto di "alienazione", cinquant'anni fa, a proposito dei contemporanei lavori di Antonioni: ma l'alienazione della modernità è tutta presente ne "La dolce vita". L'inquietudine dell'uomo contemporaneo (che sia il mostruoso intellettuale Steiner o la frustrata, povera Emma piccoloborghese) si rivela prioritariamente attraverso una perenne pulsione di evasione. L'esotismo domina il film: esotica è la biondona americana (ma non era svedese?) quanto sono esotici i fantasmi della villa. Esotico e persino bello può essere il mostro marino della fine, come esotico e decontestualizzato appare all'inizio il Cristo portato dall'elicottero.
Tutto è svago potenziale, stimolo di alienazione per sfuggire al vuoto e all'alienazione di un'esistenza che si trova spiazzata tra una tradizione in cui non si riconosce più, e un ignoto fatto di miraggi illusori, figli del boom, che vivono oltreoceano e sono, nella loro essenza di miraggi, irragiungibili. Chimere.

Roma è una provincia dell'impero (americano), e provinciali sono i "paparazzi" di fronte ai divi del cinema. Eppure Roma appare l'america per un padre di Marcello che viene dalla sonnolenta provincia della provincia.
La provincia della provincia cerca di adeguarsi alle logiche snaturanti della società dell'immagine, e già i bambini sembrano istruiti a recitare come una finzione circense fantomatiche apparizioni mariane e attrarre su di sé i riflettori (letteralmente) del grande circo mediatico in cui da allora saremmo stati immersi, e che Fellini registra sul nascere.

C'è una evidente sfasatura tra radici che si sono perse e i ncui non ci si riconosce più, e una modernità che sembra ancora "troppo oltre" a questa provincia italica (incantata da un edonismo luccicante che non l'ha ancora uccisa per overdose: ed il film dovette il suo strano fascino da questo velo di sogno ancora non del tutto livido come pure, a guardarlo oggi, appare - tanto da far star male).
Persi in questa sfasatura, ci ritroviamo insieme a Marcello in mezzo a una desolante terra di nessuno, senza riferimenti, senza stimoli, e senza più incentivi.

Un film-disvelamento, che ha denudato e ancora ci denuda, implacabilmente: senza lasciare le vesti addosso a nessuno.
Un capolavoro monumentale, in risonanza profonda col presente.
Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf  02/03/2011 00:36:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottimo commento, rende giustizia al capolavoro di Fellini.
Davvero uno dei film magistrali, anzi capitali, della storia del cinema!
jack_torrence  02/03/2011 12:58:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ehi, ma grazie infinite! ;)