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OMICIDIO A LUCI ROSSE regia di Brian De Palma

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Woodman     10 / 10  02/08/2014 20:48:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bizzarria suprema di indiscusso valore, diretta dal De Palma più libero, creativo ed eccitato. Una gioia infinita, refrigerante e appagante per ogni senso. Ma non solo.

Niente in questo film fa pensare in bene. Non il cast, non la trama, non la regia odiatissima del certosino De Palma, non l'ambientazione, non i colpi di scena architettati da una sceneggiatura che più che scritta sembra -anzi, è- un collage hitchcockiano.
Il frottage visivo pesca da qualsisai angolo del Cinema effettistico, di genere, di serie B, dalle origini (dalla A alla Z) in poi.. Tutto è frullato in modo indistinguibile, ne esce fuori un'opera sbalorditiva e irritantissima, che riunisce mezza storia del Cinema "basso", oppure di intrattenimento, oppure pop, lo si chiami come lo si ritenga più giusto.
Una pittoresca e plastica fotografia patinata si rivela voluta fautrice primaria dell'aggiornamento temporale -con tutto ciò che ne consegue, socialmente e individualmente- dei canoni ormai Classici delle più grandi opere d'arte di Hitchcock. E da Hitchcok si arriva alla pornografia, alla plasticosa ed elettronica atmosfera anni '80, al Cinema di genere a budget risibile. Nel frattempo si percorre e si intreccia un tortuoso giro turistico fra i codici del giallo Mondadori, l'amabile casa editrice che ribattezzò il thirller con il colore delle copertine. Sì, proprio così, si passa per la Christie, per Stout, si finisce nell'influentissimo hard-boiled, riciclando dunque perfino Hammett.
Tutto questo concentrato si rivela al gusto come la più gustosa e zuccherina macedonia preparabile da mani umane. Impliciti elementi visivi e passaggi anche brevi sono in grado di lasciare letteralmente senza parole lo spettatore.

E al di là del magnetico ed esemplare -per fluidità, interesse, intelligenza- collage citazionista, il metacinema persiste inarrestabile: il film è coraggiosamente macchiettistico, parossistico, eccessivo, grottesco, debordante, sbilanciatissimo, proprio per totalizzarsi nella sua autodenuncia e far sbocciare con estenuante e bollente perizia tecnico-visiva la sua visione del Cinema come menzogna a tutto tondo.
Neppure qui pare esserci nulla di nuovo, specie per chi è abituato alle prodezze tarantiniane. Eppure, nel suo dichiarato intrattenimento, sfruttando l'immagine come mezzo comunicativo principe, il film del maestro dispiega una critica al suo stesso "mestiere" illuminante e appetibile anche al più snob, seppur filtrata attraverso vezzi pop di livello meramente, scioccamente e apertamente comprensibile.
Una visione pessimista di una forma d'arte violentata dal torbidume profano degli inetti mestieranti, una caldissima metafora del doppio, con licenza hitchcockiana, ripresa da "Vertigo" incarnata dalla controfigura del titolo originale, ovvero una Melanie Griffith che nell'ultima parte conferisce al tutto un pepe fenomenale. Attraverso lo schematico diagramma narrativo De Palma sfodera un cannone di provocazioni pluridirezionali ed esplosive, che si uniscono sagacemente rivisitando le ossessioni del maestro inglese: voyeurismo, ossessione erotica, iperscrutabilità della donna.

Erede e folle amante del maestro, De Palma confeziona un omaggio straordinario al suo mentore, attraverso il copia-incolla, mascherando il tutto con l'uso spropositamente geniale dei mezzi a disposizione, e sm.erdando al tempo stesso l'essenza radicale del Cinema, riducendolo a copia falsata della realtà filtrata dai nostri falsari occhi di deboli uomini (si veda la malattia, il cedimento alla carne, la smania di protagonismo, la pazzia, l'omicidio), parodiando il tutto (per esempio, chi non è stato assalito da molteplici e opposte impressioni dinanzi alla grandiosamente ridicola scena dell'omicidio?).
Film kantiano perchè permeato dall'irriducibile passione per il Cinema che costituisce l'adeguarsi alla realtà automistificata, al contempo schopenhaueriano perchè sostanzialmente muove una critica profonda che ridicolizza tutto il sistema dello spettacolo e quindi tutti gli uomini, portando il tutto ad una concezione dell'individuo come distruttore e intrinsecamente bugiardo, e magari pure involontariamente, ma a questo punto pazienza.. Perchè si potrebbe continuare ad elucubrare sulla catena di interpretazioni per ore, giorni, mesi, scastrando i tasti e graffiando via le lettere.
Azzardo anche a dire che di Hitch se ne conferma pure degno successore, filmando un percorso di tenebra esistenziale attraverso il binomio odio/amore per la stessa forma d'espressione che non ha eguali e men che meno età.
Infine, a parte tutto, si noti l'immediato aggiornamento: da Herrmann a Donaggio, dalla Hedren alla giunonica figliola, dalle case gotiche ai set porno-discotecari con i Frankie Goes To Hollywood.

Un trionfo che merita il massimo.

Un film epocale.
Da prendere e divorarne, berne e risucchiarne sino al proverbiale midollo.