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THE ADDICTION - VAMPIRI A NEW YORK regia di Abel Ferrara

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Jolly Roger     5 / 10  15/10/2012 10:36:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sinceramente, mi sembra un film un po' sopravvalutato. Il tono intellettuale di cui il film va tronfio, in realtà stona con la storia, che, alla fine, è qualcosa di banale e di già visto migliaia di volte, ovvero: una donna viene morsa da una vampira e diventa vampira. Oltretutto le frasi presunte filosofiche sono, per dire, piuttosto "ermetiche", slegacciate l'una con l'altra e si fa fatica a seguire il percorso umano e intellettuale della protagonista.
Si può dire, sostanzialmente, che il film rappresenta il baratro del nichilismo, nel quale la protagonista viene inghiottita e nel quale muta radicalmente tutte le convinzioni in cui aveva creduto fino ad allora – in una sorta di illuminazione "nera" - ripudiando non solo gli insegnamenti filosofici – ma la cultura intera: la biblioteca, nella sua mente, diventa un gigantesco ossario vuoto, non serve a nulla, anzi. È il Nulla. L'unica verità "vera" è la dipendenza, e l'unica dipendenza degli essere umani – l'unico vizio – è il desiderio di sangue di altri esseri umani.

Siamo cattivi. Siamo nati per il male. Non esiste nulla. Siamo dipendenti dal sangue degli altri. A me questa "filosofia" spiccia, da band di death metal di periferia, mi ha rotto un po'. Inoltre, l'utilizzo strumentale di tutte quelle immagini dei campi di sterminio nazisti e delle fosse comuni, inserite nel contesto di un film dell'orrore col solo pretesto di creare un'atmosfera decadente e grave e renderci così più comprensibile il frettoloso mutamento psicologico della protagonista, forzandoci a condividere le sue amare riflessioni sulla cattiveria umana – beh, io francamente l'ho trovato un po' di cattivo gusto.

***DA QUI IN POI SPOILEROSO***
Con questo non voglio dire che il film non abbia un senso – un senso ce lo ha eccome, anche abbastanza profondo. La conversione al cristianesimo, unita al sacrificio più alto – il sacrificio di sé stessi - come supremo atto di ribellione verso il male nichilista, quando esso ormai ti ha corroso così tanto da non lasciarti più la forza di combatterlo. "Preferisco morire piuttosto che uccidere ancora" – questo, sostanzialmente, l'apprezzabile ragionamento finale della protagonista. Ragionamento che – e qui è altrettanto apprezzabile – rappresenta davvero una piccola "svolta" nel mondo vampiresco, in cui i vampiri sono una sorta di invidiati eroi, immortali, magari pure belli come i vari Lestat e la sua combricola, saggi, misteriosi, affascinanti e…e del sangue altrui chissenefrega. Insomma, questo film innova il solito tema, presentandoci il vampiro nella sua forma più umana, quella capace di provare il senso di colpa per le proprie azioni. Il vampiro che, dal vampirismo, ha perso più di quanto ha ricevuto in cambio – perché ha perso l'umanità, la speranza, la fede in senso generale, intesa come qualcosa in cui credere.
Forse, però, ci sarebbero state altre strade per la redenzione. Forse anche più apprezzate da lassù rispetto al suicidio, ma chissà, mi astengo da ogni giudizio su questo.
A parte il giudizio sul film nel suo complesso che, per la sua banalità di trama e la fumosità filosofica, mi ha un po' deluso e, nonostante quanto ho detto sopra, resta negativo.