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LA FIAMMA DEL PECCATO regia di Billy Wilder

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Dom Cobb     10 / 10  07/07/2018 15:29:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Durante una visita da un cliente, un agente assicurativo incontra la di lui moglie e finisce per escogitare con lei un piano per sbarazzarsi del marito e intascare così l'ingente assicurazione sulla vita, con tanto di clausola di doppia indennità...
Di tutti i prodotti cinematografici realizzati nel corso dei fruttuosi anni '40 in quel di Hollywood nell'ambito del genere noir, vi è un costante dibattito su quale di loro sia il migliore di tutti. Con tutto il rispetto per opinioni più illustri e nei confronti di titoli ben più famosi e conosciuti presso il grande pubblico, personalmente non posso che affibbiare il titolo a questo vero e proprio capolavoro firmato Billy Wilder.
Fra i registi dell'epoca, Wilder è uno dei pochi ad aver dimostrato una grande versatilità e un'innata capacità di balzare con disinvoltura da un genere a un altro senza mai rinunciare, nonostante tutto, a un preciso stile narrativo e tecnico che lo rende immediatamente riconoscibile; nello specifico, una corrente di umorismo, più o meno nero, che attraversa la pellicola dall'inizio alla fine. In questo caso, il suo talento viene accoppiato alle capacità del noto romanziere Raymond Chandler, e il risultato è, in mancanza di termini migliori, perfetto.
Fin dalla scena d'apertura, che lascia già presagire un esito non propriamente felice della vicenda, il film cattura l'attenzione dello spettatore e mantiene alto l'interesse mentre i personaggi vengono via via presentati, i loro lati ambigui ed oscuri messi in evidenza e la diabolica trama messa in moto. Nulla lascia spazio a imperfezioni: sul lato tecnico si distinguono l'evocativa fotografia e un montaggio eccellente, che crea un ritmo privo di tempi morti o divagazioni di sorta.


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La presenza di un fuoriclasse come Chandler dietro la sceneggiatura garantisce una stringa di dialoghi strepitosi, grondanti umorismo cinico e sarcasmo ma senza mai lasciarsi alle spalle un sentore cupo e tragico; è inoltre uno di quei casi in cui il tanto odiato Codice Hays, che impediva qualsiasi menzione esplicita a sesso o violenza, in qualche modo torna a vantaggio degli autori. Infatti, lo sforzo per aggirare questi ostacoli ha in qualche modo costretto regista e sceneggiatore a puntare sulla sagacia dei dialoghi per suggerire, ad esempio, un certo erotismo nel rapporto fra i due protagonisti. Senza il Codice e le sue restrizioni, probabilmente non avremmo una sceneggiatura così zeppa di battute e scambi memorabili. E la regia di Wilder è impeccabile nel modo in cui riesce a sfruttare appieno sia la solidità dello script che le abilità dei singoli interpreti.
Nonostante non figuri fra gli attori più noti dell'epoca, MacMurray è perfetto nel ruolo e la sua alchimia con la Stanwyck (qui con un'inedita parrucca) è così naturale da dare l'impressione che i due non stiano neppure recitando. Ma a spiccare su tutti è il maiuscolo Edward G. Robinson, a tratti molto vicino alla macchietta, ma mai al punto da risultare antipatico: l'essenza del capo burbero ma onesto.
E' opinione comune che il tema principale del noir come genere cinematografico a sé sia che non esistono eroi: esso è il genere dell'essere umano e dei suoi difetti più di qualunque altro, quello in cui le ambiguità e i lati oscuri dell'individuo hanno la meglio sulla nobiltà d'animo in un mondo dove non c'è spazio per l'onestà. "La fiamma del peccato" è una riprova di tutto questo: gli elementi tipici del noir vengono presi uno per uno e portati a un livello ancora più alto, dove la suspense cresce di minuto in minuto e, fra una scena memorabile e l'altra,


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fino alla fine non si ha un attimo di respiro. Senza se e senza ma, si tratta di uno degli apici del cinema della Hollywood degli anni d'oro, assolutamente da riscoprire, visto il modo in cui sembra passare in secondo piano rispetto ad altri sedicenti "capolavori".