caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

KAIRAT regia di Darezhan Omirbayev

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Josh84     7 / 10  17/04/2019 13:08:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
È la prima volta che visiono e recensisco un film del lontano Kazakhstan in lingua kazacha (secondo me è simile al russo) con sottotitoli in italiano.
Devo proprio ammettere che tirando le somme, "Kairat" (il titolo si rifà sul nome del protagonista) ha delle velleità e delle particolarità non deludenti, una specie di neorealismo post sovietico o qualcosa del genere, dove la trama è secondaria, con un taglio semi documentaristico e qualche elemento d'essai.
La narrazione consiste in degli episodi d''assimilazione e se vogliamo di transizione di Kairat a Almaty ed il conseguente impatto sulla sua vita interiore e sulla sua identità, dove i confini tra sogno e realtà tendono a mischiarsi, talvolta addirittura confondendosi.
Questa è stata la ragione principale che mi ha portato a visionare per ben due volte il film, infatti in determinati parti, il regista si propone a mescolare senza pietà, ragion per cui… occhio!
Il film è quasi senza dialoghi o meglio si riducono sull'essenziale di un giovane uomo che emigra da un villaggio verso la grande città, dapprima fallendo un esame universitario per poi provare a cercarsi un lavoro come autista di autobus, passando inoltre il proprio tempo libero al dormitorio assieme ad altri coinquilini, oppure a visionare lungometraggi stranieri in una modesta sala cinematografica.
Seguiamo via via le esperienze di questo pesce fuor d'acqua", dove tra le varie cose avviene un tentativo di approccio con una ragazza di nome Indira che fa tirocinio in qualità di hostess del treno, quest'ultimo uno dei luoghi, se non IL luogo perno della pellicola.
Il ritmo sostanzialmente è lento però a mio avviso non si avverte la mancanza di momenti di puro pathos, la granulosa fotografia in bianco e nero, i lunghi ciak e la sensazione che non stia succedendo nulla potrebbero lasciare angosciati sempre e comunque determinati spettatori. "Kairat" si salva in calcio d'angolo, precisamente per coloro che sanno cogliere la palla al balzo, difatti in un film come questo, la bellezza sta nei dettagli, e a tal proposito il regista ha fatto un ottimo lavoro nel catturare la atmosfere del contesto con delle componenti alienanti e idiosincratici, che non lasciano segni di positività.
Soffermandomi su quanto ho appena scritto, la negazione dell'amore per il giovane Kairat, tuttavia, è semplicemente un sintomo di una completa negazione della vita che in qualche modo si distingue amaramente come una sorta verità scomoda inerente all'esperienza e credo alla mancanza di stimoli.
Ciò che rimane è solo il ricordo, le sequenze, gli sguardi, il toccarsi senza mai andare in fondo ed infine il rifiuto di Indira andando a "cuccetta" con altri.
Ad ogni modo, l'intera sequela trova il proprio preciso luogo poetico e introspettivo, quindi parliamo di fertile terreno emotivo che senz'altro gli spettatori più attenti e predisposti a questo tipo di cinematografia, sapranno coglierne i frutti, amari ma preziosi.
In conclusione, si nota chiaramente che il lungometraggio è stato realizzato con un budget ridotto all'osso, ma compensa con la ricchezza dei contenuti, elargendo tra l'altro la bellezza o la bruttezza (a seconda di come ognuno la concepisce) del degrado urbano e la NON dinamica avanzata sul progresso, diffondono un concretizzato grigiore che si adatta al black and white filmico.