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IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA regia di Luis Buñuel

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  03/12/2012 01:51:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' difficile sviscerare le intenzioni precise di Bunuel e i significati profondi di una pellicola surreale - e molto complessa - come "Il fascino discreto della borghesia". D'altronde al mondo dei sogni e dell'inconscio - di cui si fanno portavoce - si è sempre cercato di guardare con un raziocinio e una logica che fanno necessariamente a botte con il caos da cui sono dominati. Quello che fa il regista spagnolo - portando avanti l'opera di grandi pensatori come Freud e Dalì - è tentare però di scandagliare la psiche umana con l'intenzione di trovare le radici nascoste di determinate dinamiche sociali ed esistenziali.
Quella che colpisce il manipolo di personaggi protagonista di questa "commedia degli atti mancati" (com'è stata più volte definita) è tutta una serie di autoinganni - impossibile non pensare a Svevo - creati ad arte per non dover affrontare quel fatidico momento del pranzo, oggetto di un rimandare continuo. E' un autoinganno che poi si traduce nei sogni, espressioni nel desiderio, nell'ottica bunueliana di stabilire un confronto proprio fra la realtà e le pulsioni recondite che si manifestano a livello onirico. Che sia realtà o sogno, perchè l'inconscio del borghese - e al livello successivo quello dell'intera classe sociale - "evita" la situazione?
Perchè è una borghesia in decadimento e priva di direzione, che cammina su strade senza meta visibile e che soprattutto sente sempre più di recitare uno spettacolo al cui "coronamento" (il convitto, "scena clou", situazione sociale per eccellenza che assurge a simbolo del loro status) non si sente affatto pronta ("Oddio, cosa devo fare ora? Non conosco la parte!").
C'è quindi una perdita dell'identità di classe. Ma essendo profondamente radicata, essa si manifesta solo quando soggiace all'istinto "animale" del sesso (la scena dei due padroni di casa) e per l'appunto a livello inconscio - l'ultimo sogno/risveglio a tal proposito è emblematico: il desiderio di (auto)distruzione di Don Rafael per liberarsi dalle contingenze esclusivamente sociali della cena e addentare, senza futili buone maniere, una semplice fetta di arrosto sul tavolaccio di un'umile cucina.
Ma a livello conscio il borghese continua ad indossare quelle maschere, e non se ne vuole liberare. Ed ecco quindi che entra in campo l'aspetto critico del film, in virtù del quale vengono sardonicamente dileggiate le ridicole convenzioni, le falsità e la vacuità di una borghesia la cui essenza pratica si è ridotta alle sole parole (vd. locandina): l'importanza dell'abito come identificatore (il vescovo sbattuto fuori se privo dei paramenti sacri), le inutili formalità, le discussioni iperdettagliate sui cocktail, il moralismo sulla marijuana (pur sapendo di essere contrabbandieri e consumatori di cocaina).
Questo e mille altri spunti di riflessione si affacciano alla mente (i sogni dei militari, la leggenda del brigadiere insanguinato, la tragica vicenda del vescovo), in una rete di significati e simbolismi dalle molteplici interpretazioni.
Luis Bunuel, oltre a giocare con i propri personaggi come un burattinaio con i suoi pupi, si prende amabilmente gioco di noi tutti: ci impedisce non solo di comprendere, ma di essere al corrente delle motivazioni di ogni gesto o azione, sovrastando le parole con fortissimi suoni di sottofondo. Ma soprattutto disvela al proprio pubblico ideale (borghese) i suoi stessi incubi e paure represse. Quello che si rivela sullo schermo è proprio la grottesca commedia vissuta da chi guarda (innegabile l'impostazione teatrale della maggior parte delle scene), e lo spettatore, stupido, ride delle disgrazie dei personaggi senza accorgersi che è il regista a ridere di loro.