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AGUIRRE FURORE DI DIO regia di Werner Herzog

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Sir_Montero     10 / 10  25/01/2013 23:31:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quanto vale la parola umana all'ombra di una maestosa montagna?
Quanto un pensiero risucchiato nel dirompente flusso di una cascata?
Quanto può un uomo, schiavo della sua finitudine, condannato tuttavia ad aspirare all'infinito?

Niente.
Questa è la risposta che ci coglie, tremanti e scossi, dopo la visione di quest'opera strabordante, visionaria, titanica e tremendamente umana, troppo umana.
Aguirre è l'uomo tragico, demoniaco nella sua più profonda essenza, destinato alla ricerca dell'inattingibile, schiavo di una sete inestinguibile, la tentazione ontologica dei grandi, dei solitari, degli sconfitti: la volontà perenne e assoluta di auto-superamento, il tremendo e febbrile conato di strabordare al di là di se stessi desiderando il desiderare stesso, disgustati dalla meschinità del mero esistere.
Io vedo Ulisse, condannato all'inferno.
Vedo Edipo, condannato a vagabondare solo, accecato e maledetto dagli dei.
Vedo Sisifo, destinato per l'eternità a lottare contro una fatica immane e senza fine.
Vedo Icaro, precipitato al suolo per aver tentato il volo.

Condanna e fallimento come unico epilogo per uomini che hanno osato andare al di là dei limiti della Natura, per uomini che, precipitando nella morte o nella follia, hanno lasciato una traccia indelebile, un segno immemore del loro incerto cammino, tragico e doloroso, insensato e solitario, ma potentemente pulsante, violento, voluto, incarnando quel singolarissimo modo d'essere che Nietzsche chiamò Amor Fati.

Ma questo ridondante fiume di parole voleva essere un omaggio, per quanto modico esso sia, un riconoscimento alla forza e allo sgomento suscitati in me da questa pellicola che è assoluta e tremenda nella sua forma estetica come la storia che essa racconta. La messa in atto tecnica del film è stata a sua volta un'impresa, un'affermazione titanica dell'uomo sulla Natura silente e matrigna.
Alla fine di tutto, l'umanità soccombe dinanzi all'immensità vacua del suo stesso volere, e nonostante la caducità e il triste fallimento, è in questa sconfitta sovrumana che risiede la dignità Aguirre.