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AGUIRRE FURORE DI DIO regia di Werner Herzog

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8½ / 10  03/04/2013 11:39:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La magnifica sequenza posta in apertura vede una nutrita colonna di uomini affrontare con fatica un impervio sentiero montano, la discesa verso valle equivale ad una condanna senza appello decretata da fattori naturali inerenti una jungla zeppa di pericoli, e nel tilt mentale in cui incorre Lope de Aguirre, feroce soldato al servizio del Regno di Spagna accecato da una brama di potere che lo induce ad inseguire i fantasmi dell' imperitura fama. Essere ricordato come conquistador di terre da sogno o come più grande traditore della storia iberica non ha importanza, l'importante è restare radicati, anche dopo morti, nell'immaginario collettivo.
Mosso da lucida follia si erge a leader della spedizione fluviale voluta da Gonzalo Pizarro, col passare dei giorni guadagna sempre più credito nei confronti dei compagni di (s)ventura fino a trascinare i malcapitati verso un abisso spacciato per il fantomatico El Dorado. Non contento si autoproclamerà dio di quelle terre sconfinate, in un delirio di onnipotenza che ben inquadra la megalomania del personaggio e dell'ingordigia moderna.
Il film vive attraverso una realtà selvaggia e atavica, strepitosa nella combinazione con l'agire del protagonista, un mondo surreale, quasi onirico all'interno del quale spadroneggia Klaus Kinki al solito viscerale nel coprire il ruolo. Con occhi spiritati e andatura ciondolante fa fronte alle tribolazioni sopportate insieme alla troupe durante le riprese, entrando più volte in violento conflitto con il regista annunciando quel rapporto che indurrà Werner Herzog a definirlo "il mio nemico più caro".
Aguirre è condottiero insensibile a malattie e fame, reso inviolabile dall'ambizione, dimenticato dalle frecce avvelenate scagliate dagli indios che per tutto il tempo seguono la spedizione decimandone i componenti, senza mezzi termini catalizza l'attenzione sia nel silenzio che nello sproloquio.
Il lavoro di Herzog si chiude come si era aperto, ovvero con un'altra sequenza da manuale in cui l'utopia di Aguirre ha ormai raggiunto contorni drammatici, eppure l'uomo, fermo sulle sue convinzioni, persiste in discorsi vanagloriosi questa volta rivolti a dei compagni di viaggio decisamente particolari.
Film straordinario, sofferto e soggetto a molteplici letture tra cui la più drammatica (ed attuale) vede la massa trascinata verso un oblio descritto ingannevolmente come panacea di ogni male.