Gualty 9 / 10 23/03/2010 01:35:24 » Rispondi Proprio come i personaggi della sua opera, Bunuel imprigiona anche noi di fronte allo schermo, senza darci spiegazioni, spettatori del degrado fisico e morale di questa compagnia in giacca e panciotto. I servi vengono risparmiati ad eccezione del "lacchè", costretto insieme ai suoi padroni nell'assurda reclusione che si viene a formare. La vicenda offre varie interpretazioni e le didascalie di apertura e chiusura ci indicano dove rivolgere lo sguardo:
“... fragile impasto di sordidi vizi, colpevoli debolezze splendide virtù, l'uomo reca in se la propria condanna e la propria salvezza. La sua stessa anima e la gabbia che lo terrà prigioniero fin quando l’angelo sterminatore verrà a separare l’innocenza dal peccato, l’umiltà dalla superbia, l’odio dall’amore...”
Ma, nonostante l'incipit, sia l'anfitrione, modello relativamente positivo, sia alcuni dei suoi ben più viziosi e marci invitati sono imprigionati nella casa. Ognuno di loro dovrà rendersi consapevole della bassezza degli altri e di sè stesso. Persino i migliori. In una sorta di "signore delle mosche" domestico. Bunuel riesce con grazia e senza puerili virtuosismi a immergerci in un opera claustrofobica, ermetica, buia. In cui la luce della ragione viene subito spenta dai morsi della fame, dai desideri e dai rancori, dalla natura umana più autentica.