Cagliostro 7½ / 10 22/09/2009 10:08:34 » Rispondi Drag Me to Hell è una fiaba gotica moderna. Raimi sceglie la via dell'intrattenimento divertente fingendo di raccontare la crisi, economica e non solo. Non si cada, infatti, nell'errore di credere che la crisi economica sia l'oggetto della denuncia di Raimi. Infatti lo script di Drag Me To Hell risale ai primi anni novanta (fu scritto dai fratelli Raimi subito dopo la realizzazione de L'Armata delle Tenebre) e trae spunto da un film del 1957 di Jacques Tourneur intitolato La Notte del Demonio a prorpia volta tratto da un racconto di M.R.James. Il film all'epoca non vide la luce poiché Raimi preferì dedicarsi ad altri progetti. Cmq risulta evidente, benché il film sia dichiaratamente ambientato ai giorni nostri, che il vero e corretto inquadramento cronologico sia da collocarsi nella prima metà degli anni novanta: troviamo i classici modelli di Yuppie in Christine, in Clay e in Stu; la crisi dell'arrivismo professionale, la ricerca di una spiritualità che da troppo tempo è latitante, un'infarcitura delle dottrine e delle atmosfere new age. L'impianto narrativo e la regia sono eccellenti. E' ottima la capacità di Raimi di non farsi intrappolare negli schemi, sempre più poveri, rigidi e ristretti, del cinema horror odierno. La sua è una regia onesta nei confronti del pubblico e mai volta a spavenatare, bensì a dirvertire con trovate narrative e visive più prossime al cartone animato:
si veda la scena dell'aggressione in macchina; si pensi all'incudine che Christine fa cadere in testa alla Ganush facendole schizzare via i bulbi oculari dalle orbite; l'aiutante esorcista viene posseduto dalla Lamia e si dimostra letteralmente un burrattino nelle sue mani.
Una regia di classe che dimostra abilità narrativa e tanta fantasia visiva. L'ironia, da molti tanto decantata, è assai lieve e al suo posto si trova una buona dose di humor nero. Il taglio generale dato alla vicinda, oltre alla quasi totale assenza di approfondimento spicologico dei personaggi, rende la pellicola più prossima ad un episodio di Un Salto nel Buio o di Ai Confini della Realtà. La morale manicheista di fondo è piuttosto retorica e, a mio personale parere, quasi irritante.
Tutti vengono puniti per le prorpie colpe: la Ganush muore; la mediumk, che è stata incapace di salvare il bambino, muore; Stu perde il posto di lavoro; Christine, avendo venduto la proria anima al diavolo per fare carriera, finisce all'inferno. Nella sorte di Christine si può vedere quasi un trionfo della Ganush e, in senso lato, il trionfo del povero nei confronti di un sistema economico e bancario immorale, impietoso e opprimente. Ma si tratta di una metafora consunta e abusata. Quello che resta in realtà è che chi (chiunque sia stato) ha avuto l'animo così malvagio da evocare le forze del male contro un bambino, alla fine resta impunito. ed è qui che la costruzione volutamente manicheista (involontariamente?) si spezza.
Complessivamente un bel film, ben realizzato e ben confezionato, capace di divertire e di intrattenere dal principio fino alla fine. Niente di più e niente di meno.