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I SOLITI IGNOTI regia di Mario Monicelli

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steven23     9 / 10  19/08/2014 16:48:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La nascita e la relativa consacrazione della "commedia all'italiana" del dopoguerra.
Se dovessi scegliere una singola frase per riassumere questa pellicola probabilmente utilizzerei questa... ma sarebbe lo stesso ingiusta nei suoi confronti, diciamo estremamente riduttiva.
Sì, perché qui si sta parlando di molto, ma molto di più.
Monicelli non si limita a realizzare un film, ma crea letteralmente un genere che, da qui in avanti, accompagnerà il neorealismo (e non solo) e sostituirà quelli che, sino ad allora, erano stati i canoni della "commedia" tipicamente italiana.

Un gruppo di sgangherati ladruncoli, sfruttando l'idea di uno di loro rinchiuso in carcere, decide di svaligiare la cassaforte del monte di pietà. Per essere sicuri di non incontrare difficoltà una volta arrivati alla cassaforte chiamano persino un esperto di scassi affinché insegni loro qualcosa sull'apertura della stessa. Inutile dire che il piano non va affatto come dovrebbe, così come il bottino risulterà ben diverso da quello sognato.

In sostanza ci si trova davanti a una commedia che non è più semplicemente tale, ma ricca di realismo e, soprattutto, carica di venature drammatiche. La regia risulta assolutamente impeccabile, supportata da una sceneggiatura solidissima e una fotografia veramente eccellente. E' proprio quest'ultima, unita alla caratterizzazione dei personaggi, a dare quel tocco malinconico e drammatico alla pellicola. L'affresco che si ha di Roma, infatti, non è quello che molti si potrebbero immaginare (diciamo quello che offre Risi ne "Il sorpasso" quattro anni dopo); di benessere non c'è alcuna traccia, così come non si percepisce affatto il boom economico che investirà l'Italia negli anni successivi. Qui parliamo di Roma periferia, dei quartieri degradati e del sottoproletariato; tutto sembra essere estraneo al processo economico, e una fotografia per l'appunto spenta e grigia non fa altro che accrescere questa sensazione.
Anche le gag e i veri momenti comici (almeno un paio incredibilmente spassosi) non risultano in alcun modo forzati e vengono inserito nella storia con una naturalezza e un realismo impeccabili.

Ovviamente contribuiscono ad alimentare quel tocco di drammaticità presente nel film anche i protagonisti, tutti quanti, dal primo all'ultimo. Estremamente lontani uno dall'altro per vari motivi, tutti hanno lo stesso qualcosa in comune: non sanno cosa significa ricchezza e benessere, sembrano incapaci di rendersi conto della rapidità con cui la società attorno a loro progredisce e credono nei valori tradizionali.
Nel complesso la squadra, malgrado differenze abissali tra i vari personaggi, funziona a meraviglia. La "banda del buco" risulta così irresistibile e il merito, oltre che di regista e sceneggiatori, non può che andare al cast. In una sola parola "Stellare", e dire che la scelta di Monicelli fu presa non proprio benissimo dai critici dell'epoca. Prendere attori già affermati in sostituzione di veri e propri comici rappresentò un deciso azzardo, ma senza dubbio anche uno dei passi più importanti verso la creazione del nuovo filone "commedia all'italiana".
Gassman, al suo primo ruolo comico, dimostra ancora una volta come, per me, sia stato uno dei più grandi attori della storia del cinema italiano. Mastroianni non è affatto da meno, del resto stiamo parlando di due interpreti dotati di grande polivalenza, in grado di passare dal drammatico alla commedia con estrema naturalezza. E poi Murgia (fino ad ora mai visto recitare), Carotenuto e un Carlo Pisacane qui caratterista semplicemente irresistibile.
Senza dimenticare poi la parte femminile del cast, messa in secondo piano dalla vicenda ma non per questo priva di importanza. Anche le due donne della pellicola (diciamo ragazze) mostrano una certa tradizionalità nelle loro figure: c'è la dolce e innocente Nicoletta e soprattutto Carmelina a rappresentare il vero legame affettivo.
E ovviamente Totò, qui in un ruolo marginale, quasi a sancire il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo. La scena in cui spiega come aprire la cassaforte è fantastica, così come la risposta al brigadiere "... come vede si lavicchia!".

In conclusione direi che, gusti o meno, si parla di un film assolutamente imprescindibile; nessuno che abbia intenzione di gettarsi a capofitto nel mondo del cinema (e non solo italiano) può pensare di tralasciarlo.
Se poi penso a dov'era il cinema nostrano in quegli anni e dov'è precipitato oggi, beh... ciò che resta è solo una grande tristezza.
Questo, però, è un altro discorso!